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29 novembre 2024, Aggiornato alle 14,56
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Vittorio Veneto, dal sogno della nave museo alla triste demolizione

Il comandante Franconi racconta la parabola del famoso incrociatore della Marina Militare, per 18 anni in disarmo

La nave "Vittorio Veneto" in demolizione

di Claudio Franconi - DL Notizie

All'alba dell'otto giugno del 2021, con ancora il buio quasi a nascondere la vergogna di quanto stava accadendo, il nostro incrociatore lanciamissili Vittorio Veneto, per ben 16 anni nave Ammiraglia della nostra Flotta, passava per l'ultima volta, a rimorchio, il Canale Navigabile di Taranto che tante volte, ed in tutt' altra veste, l'aveva vista passare con il saluto dei tarantini assiepati alle ringhiere della passeggiata sovrastante. Il Vittorio Veneto è stato la seconda nave a portare questo nome, dopo la nave da battaglia impiegata durante la Seconda Guerra Mondiale.

La Città della Vittoria e l'incrociatore hanno sempre avuto un legame molto speciale: la comunità vittoriese donò alla nave la bandiera di combattimento e il cofano utilizzato per contenerla. Costruita dalla Navalmeccanica nel cantiere navale di Castellammare di Stabia, l'unità fu impostata nel 1965, varata nel 1967 e consegnata alla Marina Militare il 12 luglio 1969. Ha prestato 34 anni in servizio (dal 1969 al 2003) e 18 anni in disarmo.

Nel corso della sua lunga attività, il Vittorio Veneto svolse numerose operazioni significative, come il salvataggio dei boat people in Vietnam nel 1979, l'operazione Margherita e quella effettuata in Libano. È stata la nave ammiraglia della flotta italiana per 16 anni, dal 1971 al 1987. L'Ammiraglio Edoardo Faggioni, Ufficiale del Genio Navale, allora presidente dell'Anmi di Taranto, che nella sua carriera era stato, fra l'altro, il coordinatore dei "lavori di mezza vita" del V.Veneto, allo scopo di salvare la nave dalla demolizione e musealizzarla, così come fatto da tanti altri Stati, fondò, assieme ad altri volenterosi, l'associazione Incrociatore Vittorio Veneto, Nave Museo e Cimelio Storico.

Da allora l'associazione si attivò con le locali autorità per cercare di destinare la nave a Museo nella città di Taranto, la cui Base Navale in Mar Piccolo era stata la sua sede abituale quando non in missione. Alla fine del 2007 Faggioni, che era stato sia mio compagno di corso in Accademia Navale che d'imbarco sulle corvette della Scuola Comando, mi telefonò per spiegarmi il loro progetto ed invitandomi, nel caso lo condividessi, ad entrare a far parte dell'associazione. Non solo aderii con entusiasmo ma entrai subito nel direttivo adoperandomi per dare una mano agli amici dell'associazione. Sono stati anni di "lotta" contro i mulini a vento, anni buttati e anche con notevoli spese da parte mia dato che, vivendo a Milano, andare a Taranto non è proprio dietro l'angolo: comunque tutto fatto con entusiasmo ed energia.

Dietro mio suggerimento l'Ammiraglio Faggioni convinse il Comune di Taranto ad invitare a Taranto il Museo Galata di Genova per uno studio di fattibilità del nostro progetto. A seguito di invito del settembre 2008 da parte del Comune di Taranto, con il benestare della regione Puglia, vennero con me a Taranto gli amici Pierangelo Campodonico, direttore del Galata ed il compianto Tesoriere Pierluigi Ferrari e, ovviamente con l'accordo della Marina Militare, visitammo la Nave ed il Dott. Campodonico, al suo rientro a Genova, redasse un piano di fattibilità della musealizzazione dell'incrociatore. Il sottoscritto, fra l'altro, incontrò a Palazzo Marina l'allora capo di Stato Maggiore che, pur dichiarando la sua approvazione alla nostra, che ormai possiamo definire, missione, dichiarò che la Marina non aveva assolutamente i fondi per aiutare la nostra idea.

Visto l'insuccesso nel concretizzare l'idea sia con le autorità cittadine sia con quelle della Regione Puglia, nonostante le decisioni prese all'inizio e supportate anche dall'Associazione Michelagnoli, un giorno mi venne l'idea che molto probabilmente il posto migliore per sistemare il Vittorio Veneto potesse essere la Città di Trieste, vicino a Vittorio Veneto, la città della quale portava il nome e che le aveva consegnato la bandiera di combattimento. Inoltre la Città di Trieste iniziava a parlare della rivalutazione del Porto Vecchio e quale occasione migliore di questa? Inoltre ancora si stava avvicinando il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale e la circostanza ci sembrava ideale. 

Con il supporto dell'amico Fausto Biloslavo, triestino e corrispondente di Guerra, organizzammo a Trieste, nei locali della Capitaneria di Porto, una conferenza alla quale partecipò oltre a Fausto, ovviamente, anche l'amico Prof. Giuseppe Mastronuzzi, professore ordinario di Geografia Fisica e Geomorfologia, direttore del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali presso l' Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" Campus Universitario e direttore generale dell'associazione, che con noi aveva "combattuto" fianco a fianco: era lui che redigeva rapporti e relazioni.

Negli anni, oltre a pensieri affermativi di supporto, ma solo pensieri, ho anche trovato un'avversione al progetto incomprensibile e rabbiosa, fra l'altro, poi, senza dire il perché del pensiero negativo, da parte di alcuni personaggi della Marina Militare ma, soprattutto, a Trieste, sui particolari dei quali non mi soffermo per ovvi motivi. Non dimentichiamo che una nave del genere, ormeggiata a Trieste, con il bacino di possibili visitatori, a mio avviso molto maggiore di quello di Taranto (senza ovviamente nulla togliere ai miei amici di Taranto, ma è una questione puramente geografica e di densità di popolazione) avrebbe dato lavoro a diverse decine di persone (così come, del resto avrebbe fatto a Taranto) con il relativo introito: pensate solo al sommergibile Sauro a Genova ed agli introiti che ha portato al museo Galata con migliaia di visitatori.

Da non dimenticare che, in quegli anni, a Trieste c'erano due correnti: una che voleva musealizzare un vecchio pontone ed un'altra che voleva un sommergibile, quindi avevamo dei "concorrenti" anche in quel senso. Poi non so cos'abbiano fatto. Vista l'inutilità dei nostri sforzi, tutti fatti essenzialmente dal presidente, Ammiraglio Faggioni, dal direttore generale prof. Mastronuzzi e dal sottoscritto, il presidente, anche in considerazione del fatto che molti soci stanchi e scoraggiati avevano dato le dimissioni, decise di sciogliere l'associazione. Quindi ecco la fine del nostro sogno, ma non posso concludere questo mio scritto senza una precisazione di basilare importanza.

Il problema dell'amianto
L'argomento che ha sempre regnato sovrano contro l'operazione di musealizzazione del Vittorio Veneto è sempre stato l'amianto: la frase "la nave è piena di amianto" era una ricorrente continua: ovviamente i relativi costi per bonificarla sarebbero stati insostenibili per qualsiasi amministrazione avesse deciso di accettare "La nave è piena di amianto" e la mia risposta che non lo era affatto perché era già stata bonificata, così come mi era stato dichiarato da chi la bonifica l'aveva praticamente fatta e cioè l'Arsenale di Taranto sotto la Direzione di Faggioni (e chi più di lui poteva saperlo?), non è mai stata presa in considerazione. Concludo, quindi, con la dichiarazione di Faggioni: "Se i responsabili delle decisioni da prendere circa l'amianto fossero mai scesi nei due locali apparato motore del V. Veneto si sarebbero resi conto che in quei locali l'amianto era stato rimosso totalmente durante i lavori di mezza vita dell'Unità da me condotti in qualità di coordinatore lavori e che l'amianto esisteva ancora sì, ma incapsulato ermeticamente nei pannelli che costituivano i rivestimenti delle caldaie, quindi, essendo sigillato con lamiere di acciaio inox, era totalmente innocuo, tanto è vero che dopo i lavori l'Unità ha continuato a navigare con tutto il personale a bordo. Secondo me non c'era la volontà da parte della Marina di cedere la nave per non correre rischi di alcun genere.

FINISCE
Quindi, grazie a quanto sopra, ed a seguito di quanto scritto su questo giornale alcuni mesi fa dall'Ing. Guido Barbazza, l'Italia non ha una nave museo, contrariamente a quanto hanno fatto direi quasi tutti i paesi civili di questo mondo: ad esempio la Grecia ha l'Averof ed un cacciatorpediniere già Americano, per non parlare del Belfast a Londra, il sommergibile nucleare in Francia, le numerose navi da battaglia e portaerei oltre ad alcune Liberties (queste ancora naviganti) negli Stati Uniti, il sottomarino Vesikko di Helsinki o il Lembit di Tallinn, o ancora il sottomarino tascabile P-913 Zeta nel Parco di Storia Militare di Pivka, in Slovenia a pochi chilometri da Trieste e tanti altri esempi di valorizzazione che attraggono decine di migliaia di visitatori che si potrebbero citare. Ho ritenuto utile che gli Italiani sappiano che almeno qualcuno si era prodigato per salvare l'Incrociatore Vittorio Veneto dal diventare lamette da barba (come diciamo in Marina), lottando inutilmente contro i mulini a vento di questo Paese.
 

Tag: storia - navi