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Cultura

Tra uomo e automazione, l'Andea Doria insegna

Dalla vicenda della nave affondata il 25 luglio del 1956, lo spunto per una riflessione sul rapporto tra le capacità individuali dei naviganti e gli strumenti tecnici a loro disposizione


di Giorgio Marega - DL News 

Il 25 luglio 1956 l'Andrea Doria veniva speronata dalla nave svedese Stockholm e dopo un'agonia di circa 11 ore affondava suscitando commozione e sconcerto nelle coscienze degli italiani e del mondo intero. Nella tragedia marittima trovarono la morte 49 passeggeri dell'Andrea Doria e 5 membri dell'equipaggio della nave svedese. Grande commozione per la perdita della magnifica unità, simbolo e vanto dell'Italia tutta in una fase di riscatto e di ripresa dopo il disastro della guerra; sconcerto per il modo in cui era avvenuta la collisione, tra navi munite di radar, e per gli strascichi che ne seguirono. Fiumi di inchiostro sono stati versati per descrivere, capire e spiegare il triste, doloroso incidente in un clima quasi sempre avvelenato da aspre polemiche.


In quegli anni ha avuto successo la ambigua frase "collisione radar assistita". Limitiamoci all'epoca della Doria secondo quanto appreso dai professori Tavolini e Zennaro, Nautico di Trieste, anni 1962-64 in cui era appena conclusa la Convenzione di Londra del 1960. Prima del 1960 il radar "non esisteva" e gli ufficiali ne ricavavano i dati di accosto in maniera empirica del tipo: "metti il rilevamento e vedi se non cambia", "è a 9 miglia cerchiamo di sentire il fischio", "intanto accosta poi si vedrà" succedeva in piena nebbia, di notte a 16 nodi su navi da carico e a 24 nodi su navi passeggeri.


Gli ufficiali nel dopoguerra si sono visti piovere questo nuovo mirabolante strumento che non solo fa vedere nella nebbia, ma ci dà la distanza; "Non ci può essere vicino nessuno, sono solo onde, guai a te se abbassi il guadagno, tanto non vedi i pescherecci di legno e poi non tornerai mai con la manopola del GAIN come prima". È un poco quanto raccolto dai componenti la Commissione che integrò il Regolamento per prevenire gli abbordi in mare nel 1960. Non stento a crederci: si sentiva ancora sul ponte tra il 1964 e il 1970. Tempi in cui navigai sul meglio del meglio mondiale così come su orrendi catorci.


Ritorniamo ai due professori. Essi ci fecero (in anticipo sui programmi ministeriali) corsi specifici di uso e di cinematica navale per insegnarci a schivare le navi, non a manovrare in acque ristrette, i diagrammi polari su cui ci esercitavamo erano dell'Istituto Idrografico della Marina, dirette copie della U.S. Navy.


Diciamo, per farla breve, che avevamo dei radar si e no sufficienti cognizioni e degli ufficiali digiuni dei metodi d'uso hanno fatto appello alla  loro buona volontà. Secondo le norme vigenti all'epoca uno poteva diventare commodoro senza saper accendere un radar e meno che meno interpretarne i dati.

Il disastro: una catela di concause 


La collisione non avvenne per un fatto solo, ma per una catena di concause. Riassumerei il fatto della Doria come: 1. il desiderio del comandante di non sfigurare con ritardi e tenere alto il nome della Società negli orari. Sappiamo delle ortodromie verso gli Usa e dove ci portano, sappiamo che una moltitudine di navi si concentra in zone obbligate a "tagliare per ortodromia: abbiamo sempre fatto così e ci siamo arrangiati con le tempeste, con la nebbia e con il traffico"; 2. la velocità troppo alta in caso di nebbia (L'ipotesi della nebbia è quella avvalorata in convenzione di Londra); 3. la "imperizia normativamente assistita" degli Ufficiali davanti al radar che istintivamente ti prometteva certezze: In realtà sapevi trattare forse un decimo delle informazioni; 4. La volontà di tenersi in mare aperto, facendo una accostata impercettibile indipendentemente da nebbia o tempo chiaro. Fatti che hanno aumentato la probabilità di un disastro che sarebbe potuto non capitare".


Mi sono trovato esattamente nelle stesse condizioni su una carboniera nella Manica in rotta verso nord, stretto fra i bassifondi francesi e una petroliera enorme che tagliava dalla dritta quasi in controcorsa. Stesso desiderio di allargarmi verso il mare aperto, dopo 3 minuti presentavo il fianco dritto ad uno speronamento. Tutto a dritta, con la velocità di una ciabatta ad infilarmi nel tratto che mi dava ancora un pescaggio. Appena la "petroliera" aveva superato il traverso accostavo a sinistra per rimettermi in rotta. Bravura? Preparazione? fortuna sfacciata? Ero al 1° imbarco con patentino da terzo capoguardia Senza corso radar? Prudenza? Di sicuro sono andato molto vicino alla collisione e di sicuro la petroliera non ha voluto cercare di incagliarsi sulla costa francese, io avevo 3 metri di acqua e me li sono giocati. Portato a casa la pelle. Da 48 anni attribuisco l'essermela cavata alla potente preparazione del Nautico e alla passione per la navigazione e per l'elettronica. E a buon peso ci metto la padronanza dei radar acquisita in 16 mesi sulla Raffaello.


Ritornato nel mondo della Navi, 35 anni dopo vidi un radar ultrautomatico, diceva cosa fare ma non ti diceva perché. Guida alla cieca, Atto di Fede. Navigazione integrata, si poteva risalire il canale Marghera fino al molo di allestimento Fincantieri in automatico, ma il Comandante di cantiere percorreva il canale a mano. "(la nave) È più pronta se succede qualcosa" il suo commento.


Rimango convinto dei dati emersi in Convenzione di Londra, li ritengo i più autorevoli e raccolti "subito": A: c'era nebbia; B: chi era sul ponte non era competente della manovra radar al di la' di chi fosse o di che grado avesse (3° Uff. o comandate); C: tutte e due le navi NON procedevano a velocità moderata; D. La Stockolm, pur avendo la possibilità di allargarsi, non lo ha fatto, una prudenza marinara lo suggeriva al di là delle condizioni meteo.


Dal punto di vista strutturale la nave era a norma, la stabilità più che decorosa  dimostrata da 11 ore di agonia con uno squarcio del genere (mi piacerebbe sapere l'(r-a) prima della falla e a compartimenti allagati) altrimenti si sarebbe rovesciata molto prima. Per il comandante e l'equipaggio sento di dire che sono stati all'altezza di gestire il post-emergenza.


Il voler "giudicare da lontano geograficamante e nel tempo mi dà l'occasione di tirare fuori le parole del Comandante Oscar Ribari dopo l'incendio della Raffaello bersagliato dai giornalisti. "Chi che va per mar, naviga, chi che xe in tera giudica".e del suo collega Crepaz (e competitore, tutti primi fra i primi della classe): "no se pol giudicar un comandante per quel che ghe xe successo e per quel che el ga fato, lui iera per mar, el ga portado indrio tuti vivi e per zonta anche la nave, Cossa volè che ve digo?"


La mia opinione sull'automazione? Utilissima per i casi normali, se l'uomo non sa risolverli è meglio l'automazione. Nei casi in cui l'automazione non sa risolvere, interviene l'uomo. La mia risposta? Automazione e Uomo si integrano, tutti e due devono Sapere, l'uomo anche più dell'automazione.