di Francesco Pittaluga - DL Notizie
La "C.I.TRA - Compagnia Italiana Transatlantica" fu costituita a Roma il 22 dicembre 1925 con atto pubblico presso il notaio Paolo Castellino al fine di risollevare le sorti della casa-madre "Transatlantica Italiana" e per esercire dal 1 gennaio 1926 i servizi marittimi sovvenzionati per Sardegna e Sicilia ed i possedimenti coloniali di Libia, Somalia ed Eritrea che la stessa "Transatlantica" si era assicurata a seguito di gara e successivo Decreto Ministeriale del 24 novembre 1925. Il capitale iniziale della nuova società ammontava a 60 milioni di lire del tempo suddivisi in 120.000 azioni di 500 lire l'una, sottoscritte in gran parte dalla Banca Nazionale di Credito. Ne venne eletto presidente l'avvocato Francesco Berlingieri, vice-presidente il senatore Giovanni Borletti e amministratore delegato l'ingegner Renzo Barenghi. Come abbiamo già visto e qui ricordo, la flotta venne costituita all'inizio dai piroscafi della "Transatlantica Italiana": Giuseppe Garibaldi, Francesco Crispi, Giuseppe Mazzini nonché dalle navi da carico Caffaro e Casaregis. Crispi e Mazzini, le unità più nuove del gruppo, già ordinate dalla "Transatlantica" presso i Cantieri Ansaldo San Giorgio del Muggiano, vennero consegnate direttamente alla "C.I.TRA" a settembre e dicembre del 1926 per essere adibite alla linea espresso per Massaua, Mogadiscio e Chisimaio via Suez.
Molto simili alle navi passeggeri che abbiamo già incontrato esaminando le vicende della "Transatlantica" sia nelle linee esterne, nelle sistemazioni interne nonché nelle dimensioni attestate sulle 8000 tonnellate, ereditavano dalla precedente società anche la ormai popolare stella bianca sulle ciminiere mentre lo scafo, che passava dalla classica livrea nera ad una bianca più leggera e moderna, le rendeva maggiormente adatte alla linea coloniale sulla quale sarebbero state impiegate per gran parte della loro carriera. A queste due per così dire "ammiraglie" si aggiungeranno presto tutta una serie di unità provenienti da altre compagnie che avevano avuto una vita operativa piuttosto breve. Dalla società "Italia", il cui nome verrà ripreso da quella più nota che si costituirà nel 1932, arriveranno ben 13 piroscafi di piccolo o medio tonnellaggio a causa del processo di liquidazione che stava interessando questa compagnia.
Tutti compresi fra le 2000 e le 4000 tonnellate di stazza, con sistemazioni passeggeri piuttosto spartane e ormai relativamente anziani, dal più grande al più piccolo saranno Città di Tripoli, Eritrea, Firenze, Massaua, Menfi, Piemonte, Porto di Alessandretta, Porto di Savona, Sassari, Solunto, Tebe, Tocra e Tolemaide. Dalla "Etruria di Navigazione" arriverà il vapore da carico Tripolitania e dalle linee passeggeri delle Ferrovie dello Stato, le due Città di Cagliari e Città di Bengasi. Nel complesso si trattava di materiale disomogeneo e in gran parte reso obsoleto dalle nuove costruzioni che uscivano a ritmo serrato dai cantieri nazionali nella seconda metà degli Anni Venti del secolo scorso. Il loro cospicuo numero farà comunque sì che le linee assunte in esercizio dalla "C.I.TRA.", con la sovvenzione annua di più di 40 milioni di lire dell'epoca, spazieranno dai collegamenti con Sardegna e Sicilia a quelli con Libia e Tunisia fino alle colonie italiane oltre Suez, in quella che allora veniva definita "Africa Orientale Italiana".
La linea Civitavecchia-Terranova (oggi Olbia) aveva frequenza giornaliera; settimanali le Civitavecchia-Cagliari, Napoli-Cagliari, Genova-Livorno-Cagliari-Tunisi-Tripoli; quattordicinali la Napoli-Messina-Catania-Siracusa-Malta-Tripoli e Napoli-Messina-Catania-Siracusa-Bengasi. Mensili erano invece i collegamenti a più largo raggio, articolati in due itinerari: la cosiddetta "linea espresso" Genova-Napoli-Port Said-Suez-Massaua-Aden-Mogadiscio-Chisimaio che consentiva di raggiungere i porti eritrei in otto giorni e quelli somali in due settimane e la più lunga ma anche più lenta linea mista passeggeri-merci Genova-Napoli-Catania-Tripoli-Bengasi-Port Said-Port Sudan-Massaua-Aden-Mogadiscio-Chisimaio-Mombasa-Zanzibar-Dar es Salam-Beira-Durban in Sud Africa.
Oltre a queste, dagli scali coloniali periferici si dipartivano, in coincidenza con le navi in arrivo dal Mediterraneo, una settimanale Massaua-Port Sudan-Jeddah-Suez ed una mensile più articolata che sempre da Massaua faceva rotta a sud-est per Hodeida-Assab-Gibuti-Aden-Ras Hafun-Mogadiscio-Merca-Brava- Chisimaio. Non esistendo ancora all'epoca un vero e proprio flusso turistico paragonabile a quello dei giorni nostri, i passeggeri sulle linee nazionali erano costituiti in massima parte da connazionali sardi e siciliani o comunque da residenti nelle nostre due isole maggiori che si spostavano per motivi di lavoro, di salute o familiari, funzionari statali, insegnanti, medici in trasferta, militari di leva o in carriera che raggiungevano le proprie basi operative. Sulle linee per l'Africa equatoriale, in un'epoca in cui il turismo rivolto a quelle aree geografiche era ancora costituito da una nicchia di traffico riservata a pochi avventurosi abbienti, alle tipologie appena citate si aggiungevano missionari, imprenditori che avevano avviato floride attività nelle colonie, proprietari terrieri di piantagioni, scrittori, giornalisti, geografi, esploratori ed anche avventurieri di ogni genere che trovavano in quelle Terre, non ancora toccate dalla modernità, terreno fertile per le proprie gesta.
Concentrandoci un attimo sulla realtà di quei viaggi alla volta dell'Africa Orientale, possiamo immaginare come ogni traversata offrisse il fascino della scoperta legato alla mancanza di alcuni comfort che oggi riteniamo essenziali. Sulle navi della "C.I.TRA." e in genere su tutte le unità passeggeri dell'epoca non esistevano impianti di aria condizionata come li intendiamo noi oggi: pertanto i loro interni dopo Suez diventavano dei forni che nemmeno la brezza marina riusciva a mitigare. L'arrivo nei vari porti dell'itinerario era caratterizzato da un'efficienza del personale di bordo cui faceva riscontro il caos e la confusione che regnava a terra, su banchine spesso approssimate o addirittura inesistenti dominate dal vociare di una folla variopinta vestita nelle fogge più strane e dove, in scali quali Mogadiscio, Merca e Chisimaio, i passeggeri venivano smistati durante le operazioni di imbarco o sbarco issandoli in apposite grandi ceste di vimini analoghe a quelle delle mongolfiere o in sacchi di iuta dal fondo in legno, cosa che peraltro rimarrà d'uso abituale fino agli Anni Cinquanta del Novecento.
Nei porti arabi, dove oggi si vedono le "Sky-Lines" più ardite, si veniva accolti dai beduini del deserto coi loro dromedari, mentre in quelli dell'Africa Nera sembrava che il tempo si fosse fermato alle epoche di Stanley, Rhodes e Livingstone. Per avere una ritrovata, incisiva parvenza di presenza europea e di modernità era necessario aspettare di attraccare nei porti sudafricani, dove da lì a qualche anno arriveranno sotto i colori della "Italia di Navigazione" prima e del "Lloyd Triestino" dopo, Duilio e Giulio Cesare, unità ben più prestigiose, veloci e confortevoli rispetto a quelle in esercizio per la "C.I.TRA.". L'attività della compagnia sembrava comunque bene avviata: onde svecchiare la flotta, fra 1927 e 1929 furono venduti per demolizione Piemonte, Tebe, Tolemaide e Porto di Savona mentre il Menfi, naufragato il 4 gennaio 1927 al largo di Capo Carbonara perché incappato in una furiosa tempesta, venne rimpiazzato dal Somalia, di provenienza inglese, varato a Blyth nel 1918.
Tralasciando di descrivere una per una le unità minori della flotta e concentrandoci sulle nuove costruzioni, a pochi anni dalla sua fondazione entrarono in servizio per la "C.I.TRA." quattro nuove motonavi passeggeri destinate ai traffici con la Sardegna e la Libia. Costruite la prima nei Cantieri Navali del Muggiano e le altre a Sestri Ponente, saranno nell'ordine "Arborea" di quasi 5000 tonnellate, consegnata nel luglio del 1929 e le più piccole ma simili Olbia, Caralis e Attilio Deffenu di 3500 tonnellate, in linea fra gennaio e novembre di quello stesso anno. Uscita dai Cantieri Odero-Terni-Orlando, l'Arborea era lunga 115 metri e larga 15, disponeva di 3 eliche e 3 motori diesel costruiti dalla "FIAT-Grandi Motori" della potenza di 4500 HP che le consentivano di mantenere una velocità di crociera di 16 nodi. Il progetto della nave vide la firma dell'architetto bolognese Melchiorre Bega, probabilmente influenzato nelle sue scelte dalle moderne istanze che stavano timidamente prendendo piede all'epoca e vedranno in Gustavo Pulitzer-Finali e Nino Zoncada due fra gli esponenti più illustri di quel nuovo corso negli allestimenti navali in opposizione a quanto realizzato fino a quel momento.
Fu così che Bega, passato alla storia per le importanti realizzazioni di edilizia civile portate a compimento soprattutto nel secondo dopoguerra, pur prevedendo un aspetto esteriore in linea con le istanze ortodosse ancora prevalenti, concepì interni semplici e moderni che avrebbero accentuato la praticità delle soluzioni adottate senza inficiarne il comfort e la sicurezza, anche se in alcuni locali delle classi superiori erano pur sempre presenti elementi tipici degli allestimenti navali dell'epoca in quel pieno "stile Ducrot" che ancora resisteva a scapito di istanze più moderne che si affermeranno definitivamente solo di lì a qualche anno. Dalle linee snelle e piacevoli, la nuova unità presentava prua leggermente inclinata in avanti con mascone pronunciato, elegante poppa a clipper, due alberi, unico fumaiolo a centro nave e sovrastrutture continue con ampia passeggiata coperta. Poteva trasportare circa 400 passeggeri suddivisi in tre classi: la Prima e la Seconda disponevano rispettivamente di 36 e 28 cabine per 90 e 75 passeggeri e di ristorante e sala soggiorno in comune. Anche la Terza classe aveva un proprio ristorante, una saletta di soggiorno ed i suoi 230 passeggeri erano alloggiati parte in cabine quadruple ed in tre cameroncini da 40 posti l'uno, due riservati agli uomini ed uno alle donne. L' arredamento semplice e razionale risultava perfettamente adatto alle traversate brevi cui la nave sarebbe stata adibita tramite un tipo d'impiego che l'avrebbe vista impegnata a rotazione settimanale sulle linee più importanti e trafficate per la Sardegna e Tripoli da Civitavecchia, Genova e Napoli.
Analogo tipo d'impiego per le più piccole Caralis, Attilio Deffenu e Olbia. Lunghe 95 metri e larghe 13, equipaggiate con due motori diesel Tosi da 4100 HP, due eliche e velocità di 15 nodi, erano praticamente una versione in scala leggermente ridotta dell'Arborea di cui riprendevano linee esterne e sistemazioni interne per complessivi 320 passeggeri anche qui divisi in tre classi. Con l'entrata in servizio di queste quattro unità sulle linee sarde e mediterranee e la presenza di Francesco Crispi e Giuseppe Mazzini nei collegamenti oltre Suez, la "C.I.TRA." pareva avviata ad un programma di rinnovo progressivo della flotta che avrebbe previsto l'alienazione del naviglio più vecchio contemporaneamente all'immissione in linea di nuove unità ancora in fase progettuale.
Nel 1930 furono alienate e avviate a demolizione Sassari e Porto di Alessandretta ma di lì a poco, con decreto ministeriale e successiva legge numero 1434 del 13 novembre 1931, la società venne incorporata con la palermitana "Florio" per assumere la nuova denominazione "Tirrenia-Flotte Riunite Florio-C.I.TRA.", denominazione che conserverà fino al 1936 quando diverrà semplicemente "Tirrenia" per essere protagonista dei collegamenti di cabotaggio delle nostre società di navigazione facenti capo al gruppo "Finmare" fino ai giorni nostri.
[…] Della "C.I.TRA.", che porterà nel nuovo consorzio ben 18 unità, possiamo dire che in soli sei anni di attività lasciò comunque un segno quale prima protagonista riguardo a collegamenti ritenuti secondari rispetto alle grandi linee transoceaniche ma comunque vitali per l'economia nazionale: erede di quella "Transatlantica Italiana" che era stata una delle società di punta nel panorama armatoriale italiano, sarà coinvolta nel grande disegno di ristrutturazione dei nostri servizi marittimi che rivoluzionerà dal 1932 al 1936 la panoramica delle società impegnate, dando vita, con risultati non sempre suffragati dalle intenzioni auspicate, ad una più moderna razionalizzazione dei nostri trasporti via mare e conseguente loro nuovo assetto che durerà pressoché inalterato fino agli Anni Settanta del secolo scorso.