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14 marzo 2025, Aggiornato alle 18,16
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Politiche marittime

Quanto inquina lo shipping

Emette sempre meno gas serra ma secondo alcuni ambientalisti solo perché con la crisi sono calati consumi e traffici. Imo istituto lento nel decidere. L'economia di scala però è superiore a qualunque altra forma di trasporto


di Renato Imbruglia 

La nave inquina più di quanto facciano le altre modalità di trasporto? Rappresenta un rischio per le emissioni mondiali e per le politiche europee di protezione dell'ambiente? Ad ascoltare alcune tesi portate avanti da organizzazioni ambientalistiche sicuramente sì. Anzi, lo shipping rappresenterebbe il principale problema e le politiche messe in campo fino ad oggi non avrebbero portato i risultati attesi e non si proporrebbero di essere un'efficace strumento per raggiungere la riduzione di due gradi della temperatura media globale, come sancito nella recente Conferenza sul Clima di Parigi, evento che ha visto proprio l'esclusione dello shipping tra i temi di intervento, delegando la questione all'International Maritime Organization (Imo).
 
In risposta alle critiche degli ambientalisti, l'International Chamber of Shipping (Ics) e l'Imo hanno pubblicato alcuni mesi fa delle statistiche che mostrano come il lavoro svolto in questi anni sulla riduzione delle emissioni e dei consumi abbia portato a una forte riduzione dell'inquinamento da parte delle navi mercantili, e la strada avviata sembra poter raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi nei prossimi decenni.

Chiaramente, ogni attore cerca di portare quanta più acqua possibile al proprio mulino ed è difficile capire realmente quale sia la posizione più veritiera e come pianificare la necessaria e in qualche modo obbligata riduzione delle emissioni. Tra i nodi sicuramente difficili da sciogliere vi è la natura degli organi decisionali: l'Imo decide su scala mondiale ma ha dei tempi e delle dinamiche interne complesse e lunghe quanto un negoziato Onu, mentre su scala europea la Commissione europea non riesce sempre a creare un fronte compatto tra i Paesi membri. Il prossimo aprile si terrà un'importante meeting dell'Imo, il Maritime Environment Protection Committee (Mepc), che dovrà iniziare ad affrontare la questione delle riduzioni di emissioni su scala mondiale da parte delle navi. 
 
L'organizzazione Clean Shipping Coalition (Csc) è quella più critica verso l'inquinamento dello shipping. Focalizzata esclusivamente sul settore, l'anno scorso all'ultima assemblea dell'Imo ha distribuito una sintesi degli studi e delle ricerche che confliggono con le positive valutazioni espresse finora dagli operatori marittimi internazionali. Si contesta, ad esempio, la riduzione del 30 per cento entro il 2025 dell'uso di carburante da parte delle navi commerciali. A detta di Csc questo obiettivo è raggiungibile solo se la quota venisse comparata con i decenni passati, includendo quindi tutta la progressione dell'ingegneria navale che tende verso un miglioramento costante dei consumi. Se invece la si confrontasse a partire dagli ultimi anni, questo 30 per cento non sarebbe né progressivo né reale sulla flotta attualmente in navigazione. Cosi come la riduzione di emissione di gas serra, che l'Imo ha valutato in discesa dal 2,8 al 2,2% tra il 2008 e il 2012, in realtà non può essere attribuita alle politiche Imo relative al trasporto marittimo, che sono iniziate solo nel 2013, ma a strategie settoriali che sono collegabili per lo più alla riduzione di traffico in conseguenza della crisi economica, alla navigazione a bassa velocità (slow streaming), in generale al calo mondiale della domanda di beni, oltre che all'aumento delle emissioni di gas serra in altri settori. Csc non concorda nemmeno nel considerare lo shipping come uno dei settori su cui puntare per ridurre l'inquinamento, sostenendo che le emissioni di CO2 da trasporto marittimo saranno circa il 17 per cento del totale nel 2050 e che le politiche più efficaci potranno al massimo ridurrle al 6 per cento. 
 
Per trovare un punto di equilibrio e inserire lo shipping in un contesto più definito ci si potrebbe far aiutare dal database della Commissione europea che pubblica periodicamente statistiche sul sistema dei trasporti, anche se solo su scala comunitaria. In questo caso i dati del 2012 per le emissioni di gas serra relative al settore dei trasporti attribuiscono il 13,9 per cento del totale allo shipping, contro il 71,9 per cento dei veicoli stradali e il 12 per cento dell'aviazione civile. Percentuali pressoché identiche anche se si considerano le emissioni di anidride carbonica.
 
È evidente che con i numeri e le statistiche ci si può confrontare e in qualche modo giocare come più si preferisce, ma sicuramente tutte le politiche che contribuiscono a ridurre le emissioni sono da attuare e migliorare. Lo shipping però ha dei tempi diversi rispetto al trasporto su strada, investimenti e strategie difficilmente paragonabili, un'estensione e una copertura delle distanze enormi rispetto a qualunque altra forma di trasporto. La battaglia che ha portato alla riduzione delle emissioni nelle ECAs (Emission Control Areas) dello scorso anno è sicuramente un tassello importante da tenere presente quando si affrontano queste questioni (per esempio, nel porto di Napoli da quest'anno le navi che non hanno il combustibile adatto non possono entrare). Sicuramente si può fare ancora molto, nonostante le difficoltà di trovare una strategia globale che possa essere applicata da tutte le navi. Però, per un'analisi veritiera bisogna anche considerare aspetti non prettamente ambientali. La prima è l'economia di scala, il fattore più solido da opporre a chi giudica lo shipping troppo inquinante: quante tonnellate di merci si muovono via mare al mondo in proporzione alle navi e alle emissioni? Una portacontainer, anche senza considerare quelle di ultima generazione, quanto fa risparmiare in termini di attivazione di camion, treni e altre modalità di trasporto? Dall'altro lato però la "necessità naturale" che porta a utilizzare le navi per i trasferimenti internazionali (ma talvolta anche in quelli nazionali) non deve essere una scusa o un motivo per ignorare la questione e non concorrere alla riduzione di emissioni. Sarebbe insomma un po' miope non valutare la specificità dello shipping, proprio per la sua formidabile economia di scala, come elemento primario nell'analisi dell'impatto ambientale. 
 
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