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22 novembre 2024, Aggiornato alle 15,09
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Noli marittimi salati. Giamberini: "Export del Sud sempre meno competitivo"

Al contrario del trasporto terrestre, gli alti costi dei vettori oceanici stanno mettendo in difficoltà l'economia del Meridione, che esporta pasta e pomodoro

Ermanno Giamberini, presidente di Confetra Campania

di Paolo Bosso

In genere, quando si parla delll'impatto delle crisi economiche, ci si sofferma sulle importazioni. In realtà, per quanto riguarda il Mezzogiorno d'Italia, non si analizza mai abbastanza il ruolo delle esportazioni, la sua principale fonte economica. L'agroalimentare, per esempio, una delle principali produzioni industriali del Meridione d'Italia, il fulcro del "made in italy", viene movimentato per essere esportato all'estero. Un fattore evidente nel semplice fatto che i prodotti italiani sono imitati con etichette che ne richiamano l'italianità. Prodotti a basso valore aggiunto, cioè se ne deve esportare tanto per fare profitto, rispetto, per esempio, ai prodotti tecnologici.

L'import-export marittimo del Mezzogiorno si muove intorno ai 55 miliardi di euro, scesi a 31 miliardi nel 2020 (elaborazione SRM-Intesa San Paolo su dati coeweb). Un flusso che comincia a subire sempre di più il peso dei noli marittimi, soprattutto nell'agroalimentare dove ormai in export influiscono per la metà del valore su alcune destinazioni. «Il grosso di queste vendite è franco fabbrica, cioè il costo del nolo grava sul compratore estero, ma ora i compratori stanno iniziando a ribaltare il problema sui loro fornitori italiani chiedendo una riduzione del prezzo dei prodotti, rendendoli sempre meno competitivi sui mercati esteri», spiega Ermanno Giamberini, presidente di Confetra Campania, il distaccamento territoriale della confederazione delle imprese logistiche accreditata al CNEL.

In una situazione del genere il rischio per l'Italia è quello di vedersi aumentare le cancellazioni degli ordini, con la conseguenza che i compratori stranieri, quindi l'export, si indirizzino verso Paesi vicini che producono le stesse cose, non della stessa qualità ma con costi di trasporto più bassi ed etichette del tutto simili. Per il cliente finale il cambiamento è minimo, per l'economia italiana il cambiamento è profondo.

È un equilibrio delicato: merce a basso valore aggiunto ma riccamente esportabile. «L'export del Meridione – spiega Giamberini – è caratterizzato da prodotti "poveri", conserve e pasta alimentare, mentre al Nord il valore aggiunto è superiore. Questo spesso sfugge all'attenzione, così come sfugge la concorrenza che questa filiera subisce da tempo, insieme a un sovraccarico dei costi di trasporto che sta diventando insostenibile. Facciamo un esempio. Nel 2019 la tratta Napoli-New York, uno dei mercati principali per l'export italiano, ha visto una crescita del 10 per cento dei costi per il trasferimento marittimo; nel 2020 di un ulteriore 4,5 per cento, anche se c'è da dire che dall'inizio della pandemia abbiamo avuto un calo dell'incidenza del carburante, cosa che ha permesso un contenimento dei costi del trasporto oceanico. Ma dalla fine del 2020 all'inizio di marzo di quest'anno l'aumento è stato del 78 per cento. Tra il 2018 e il 2020 l'aumento è stato del 105 per cento. E per i prossimi mesi ci aspettiamo dalle compagnie marittime un altro aumento consistente». Per quanto tempo l'esportazione di prodotti di questo tipo potrà sopportare una tale incidenza dei costi di trasporto? Già oggi si avvicina alla metà del valore della merce trasportata, rendendo la concorrenza dei vicini una spina nel fianco. 

Nel 2020 i noli degli armatori hanno toccato vette stratosferiche, in tutto il mondo. Negli ultimi cinque mesi sui noli import dall'Estremo Oriente si sono raggiunti anche i 10 mila dollari per container, quando in periodi normali ci si aggira tra i 2,500 e i 3 mila dollari. Un enorme sovraprezzo che ha permesso alle compagnie, ben organizzate nelle alleanze armatoriali graziate dal Block Exemption Regulation (che le esautora dal giudizio Antitrust Ue), di chiudere uno dei migliori bilanci finanziari di sempre in un anno di depressione economica senza precedenti dal Dopoguerra. Il Block è diventato un problema, un oligopolio che non fa bene al mercato, come sottolineano a più riprese gli spedizionieri.

Al contrario del trasporto marittimo, i costi degli spostamenti terrestri, dei mezzi pesanti e quelli doganali sono rimasti più o meno costanti. «Non si capisce la strategia – afferma Giamberini - se sia legata solo al profitto o a qualcos'altro. L'offerta di stiva pare abbia raggiunto il suo massimo possibile, quindi sembra una risposta di mercato. Attualmente non ci aspettiamo un calo della domanda, quindi neanche un calo dei noli, con la conseguenza che i produttori esportatori devono concludere i contratti con una variabile che non gli permette di mantenere i prezzi stabili. Alla lunga si rischiano grossi danni all'export italiano, fino alla paralisi. È importante portare all'attenzione questo fenomeno in vista del lancio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza», sul quale Confetra ha inviato alla ministra per il Sud, Mara Carfagna, un elaborato documento che cerca di portare all'attenzione una cattiva percezione del Mezzogiorno e del suo ruolo economico. Come, appunto, quello di relegarlo a regione economicamente localizzata nel Mediterraneo quando esporta massicciamente verso gli Stati Uniti e la Germania, per dirne due.

Ai costi dei noli si devono aggiungere quelli del carburante, che dopo una stasi durante la prima fase dell'emergenza Covid hanno ripreso a crescere. Ad essi, varie addizionali sui picchi e sulla congestione portuale. E poi c'è il riposizionamento dei container vuoti. «Mentre prima il giro si chiudeva con il carico import dal Far East che procurava i vuoti per andare in esportazione, oggi con la congestione portuale e l'aumento delle esportazioni c'è stato un crollo di disponibilità dei vuoti. La conseguenza è che le compagnie scaricano sulla merce questa scarsità dei vuoti».

Strategie armatoriali poco giustificabili per gli spedizionieri esportatori. Anche se gli aumenti possono essere comprensibili, scaricare in questo modo i costi sulla merce alla lunga potrebbe portare al crollo delle esportazioni, che è una cosa che non non conviene a nessuno e sarebbe una sventura per l'economia del Meridione d'Italia. Come indicano gli ultimi dati diffusi da più centri di ricerca, la crescita decennale dell'export nel Sud Italia è stata superiore al 50 per cento, mentre al Nord è stata intorno al 46 per cento.

Sarebbe facile, da un lato, richiamarsi alla nostalgia dei tempi in cui c'erano Italia di Navigazione e Lloyd's Triestino, compagnie marittime di Stato che potrebbero rispondere al rincaro dei noli con un abbassamento delle tariffe. Ma andrebbero in rotta con i colossi armatoriali e le loro alleanze, con cui sarebbe complicato negoziare. «In parte - secondo Giamberini - paghiamo la scelta politica della privatizzazione. Se oggi avessimo una compagnia di bandiera probabilmente ci troveremmo un vettore che farebbe questi calcoli. Sarebbe difficile da concepire con il contesto di mercato delle alleanze armatoriale, ma se è vero che le compagnie rispondono alla logica di mercato liberista allora anche loro dovrebbero sottostare alle norme di libero mercato e rinunciare al Block Exemption Regulation, che oggi è diventato un enorme aiuto di Stato». Senza dimenticare che i vettori marittimi, non avendo la sede in Italia, come tutte le multinazionali di qualsiasi altro settore incassano parecchie entrate versando pochissimo all'erario italiano. Un contesto di mercato sballato che genera, inevitabilmente, un generale impoverimento del Paese.

Da dove ripartire? Per Giamberini, per quanto riguarda soprattutto il Meridione d'Italia, il fulcro sono le infrastrutture, «lo strumento col quale, come non si stanca di ripetere il professore Ennio Cascetta, la logistica risponde alla manifattura. La manifattura chiede merci, per esempio, verso gli Stati Uniti, e la logistica risponde. Abbiamo bisogno di porti che rispondano a questa domanda di mercato e per farlo devono avere infrastrutture adeguate. Per fare un esempio, utilizzare porti del Sud come Gioia Tauro, Napoli, Salerno o Taranto per spostare le merci che da Suez arrivano in Italia tramite ferrovie veloci ad alta capacità sarebbe un grande vantaggio economico generale. Le compagnie sarebbero felici per la riduzione dei costi, le emissioni calerebbero e i collegamenti verso il Nord del paese o dell'Europa, rispetto a una nave che deve sbarcare a Genova, si ridurrebbero di diverse ore».

Tag: economia