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22 novembre 2024, Aggiornato alle 15,09
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Politiche marittime

Lo sregolato mercato delle demolizioni navali

L'Unione europea vorrebbe normalizzare il mercato, ma si tratta di cambiare un sistema a bassissimo costo, profittevole per gli armatori e i cantieri che se ne occupano

Un polo di demolizione a Sitalpur, in Bangladesh (Lindsay Bremner/Flickr)

di Paolo Bosso

La demolizione navale è un'attività storicamente a basso costo. I cantieri principali si trovano nel Sud Est asiatico, dove ogni anno vengono demolite per spiaggiamento – cioè facendo arenare le navi e smontandole sul bagnasciuga – nove mercantili su dieci, arrivati alla fine del loro ciclo vitale (cioè circa 25 anni, anche se alcune possono arrivare fino a 35). I centri di demolizione più importanti si trovano ad Alang (India), Chittagong (Bangladesh) e Gadani (Pakistan). Sono poli navalmeccanici con bassissimi standard di sicurezza e ambientali, rispetto a quelli occidentali, cantieri a cielo aperto dove le navi, carcasse da decine di migliaia di tonnellate, vengono spiaggiate e smantellate con pratiche estesamente condannate, ma di fatto utilizzate da gran parte degli armatori.

Le storie e le immagini di queste pratiche furono raccontate fin dal 2000 da William Langewiesche sull'Atlantic Monthly, poi tra gli altri dal National Geographic, con accurate ricostruzioni delle condizioni di lavoro estremamente pericolose e del disastroso impatto ambientale delle demolizioni per spiaggiamento, che avvengono nelle zone intercotidali, le pianure fangose di marea tra il mare e la costa. Di norma, per raggiungere la nave, gli operai immergono le gambe in un bagnasciuga contaminato dal piombo e dal percolato. In fase di smantellamento, lavorando senza protocolli ufficiali o qualifiche professionali particolari, rischiano seri incidenti come lo schiacciamento sotto una lamiera, un'esplosione, un incendio, o di ammalarsi per intossicazione da fumi e contaminanti.

Il giro d'affari è considerevole, per il cantiere che riceve le navi ma anche per gli armatori che ce le spediscono: riescono infatti a ottenere più profitto rispetto a una demolizione in un cantiere navalmeccanico occidentale, grazie al mercato nero dei pezzi di ricambio e delle materie prime come acciaio e rame. Broker dedicati permettono all'armatore di vendere la nave a società specializzate nella demolizione, permettendo alla compagnia marittima che in alcuni casi l'ha gestita per decenni di non essere direttamente coinvolta. Nei centri di demolizione navale asiatici una nave può essere pagata fino a 400 dollari per tonnellata, contro i 250 dollari di un cantiere turco o i 150 dollari di uno stabilimento europeo. Per una nave da qualche decina di migliaia di tonnellate, quindi, siamo nell'ordine dei milioni di dollari.

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