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Politiche marittime

La sospensione della legalità

Napoli è sempre stato un porto commissariato, nonostante le apparenze. Un governo "eccezionale" che fa comodo alla corruzione e all'isolamento


di Paolo Bosso (pubblicato su Repubblica Napoli del 13 dicembre 2013)
 
Il porto di Napoli è in loop. Anche nel 2008 l'Authority fu decapitata dalla magistratura. Allora c'era il presidente ed ex diessino Francesco Nerli che si dimise dopo un'indagine per finanziamenti illeciti ai partiti. Lo sostituì il commissario e poi presidente Luciano Dassatti, già comandante delle Capitanerie di porto. Quattro anni in carica, dieci mesi da commissario, e anche per lui è scattata un'indagine, questa volta per truffa e turbativa d'asta. Per i prossimi tre mesi avremo un altro commissario, l'attuale comandante delle Capitanerie di porto Felicio Angrisano.
Il porto di Napoli sembra vivere l'eterno ritorno dell'uguale, quello di una governance nella sostanza "eccezionale", commissaria, anche quando nella forma non lo è. La conseguenza più nefanda che questo tipo di esercizio del potere comporta è la sospensione della legalità e il mantenimento della legittimità. Nel caso del porto di Napoli, la legittimità di una lobby imprenditoriale che fa i suoi interessi da decenni, protetta da un'Autorità portuale complice, se non suddita. E' lecito domandarsi quindi non tanto chi sia il presidente, quanto cosa sia un'Autorità portuale, e in che condizioni lavora.
Il filo rosso che lega corruzione e governance portuale non va cercato fuori, tra chi arriva e chi va via, ma dentro, nell'organizzazione dell'Authority, nella sua natura in bilico tra amministrazione pubblica e azienda privata, nel suo uso della dirigenza che troppo spesso funziona da tappabuco sparti-poltrona per i partiti o da pensione d'oro per militari a fine carriera. Troppo spesso i porti italiani dimostrano una scarsa amministrazione politico-economica. I Comitati portuali restano il luogo di mostruosi conflitti di interesse e le rappresentanze istituzionali al suo interno sono ridotte al minimo. A Napoli sono anni che non si fa un passo verso la modernizzazione delle infrastrutture. C'è un Piano Regolatore fermo da un anno senza l'ok del ministero dei Trasporti. A Ponente c'è un molo di due chilometri e mezzo inutilizzato - il San Vincenzo – e a Levante cantieri e uffici sono costretti a condividere lo stesso spazio. Infine, le banchine del terminal container sono sature, fatte come sono per movimentare qualche decina di migliaia di container, non il mezzo milione di adesso. Però fino a pochi mesi fa il candidato più papabile alla presidenza del porto di Napoli era l'infettivologo Riccardo Villari, che sarebbe quindi dovuto essere, come stabilisce la legge, un esperto «di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale» (art. 8 legge 84/94). Qui si fanno "grandi progetti", come quello europeo da 240 milioni di euro che si sta sgonfiando sempre più. Qui si fa lo "straordinario", non l'ordinario.
Ma i porti non sono più soltanto scali merci dove c'è da garantire l'agibilità del traffico e la sicurezza, come gli aeroporti. E' abitato da aziende, si fanno concerti, ci sono strade, spazi pubblici, stazioni marittime, uffici, negozi. Il decisionismo verticale, finanche militare, non ha più alcun senso, se non per mantenere uno status quo fatto di scambi di favori e appalti truccati. Il porto è una piccola comunità che ha bisogno di una governance orizzontale e un'amministrazione trasparente, non l'eccezionalità commissaria travestita da presidenza.
 
Nella foto, la statua di San Gennaro sul molo San Vincenzo.