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18 aprile 2025, Aggiornato alle 18,44
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La bolla dello shipping?

475 miliardi di esposizione finanziaria e 35 di presiti. Il nuovo ruolo delle private equity. E i porti delle grandi navi per ora perdono. L'analisi di Sergio Bologna all'assemblea Federagenti


C'è uno spettro che si aggira per l'Europa, anzi per il mondo: lo spettro del capitale, delle speculazioni tossiche e delle bolle immobiliari. In questi anni di crisi sistemica, lo shipping, dopo una quindicina d'anni di crescita a suon di grandi navi e grandi terminal, potrebbe trovarsi in una bolla finanziaria molto grande. Lo scenario, neanche tanto difficile da azzardare, l'ha ipotizzato, per la prima volta in Italia, il professore Sergio Bologna che in queste ore sta presentando la sua relazione all'assemblea Federagenti, in corso di svolgimento a Trieste.

La bolla dello shipping
I dati parlano chiaro: da qualche anno a questa parte un grosso volume di debiti e rifinanziamenti provengono dallo shipping. Del miliardo di dollari di perdita con cui ha chiuso HSH Nordbanck il 2013, 780 milioni vengono da questo settore. Una speculazione evidente, osservabile su due fronti: un'esposizione finanziaria mondiale che sarebbe pari a 475 miliardi, e il nuovo ruolo del private equity, che se nel 2007 non aveva finanziato nulla per lo shipping, l'anno scorso ha erogato 13 miliardi. Secondo la Deutsche Bank, nei prossimi due anni le banche nel mondo dovranno rifinanziare 35 miliardi di euro di prestiti nel settore, l'80% dei quali a carico di banche europee.
Di fronte alle difficoltà con cui le banche del Vecchio Continente dovranno fare i conti (a meno di un ennesimo pompaggio di nuovi capitali da parte degli stati), a crescere sono attualmente gli istituti finanziari d'Oriente. In Asia sono DBD Singapore, Overseas Chinese Bancking, Maybank, China Development Bank, China Merchants Bank Leasing. In Medio Oriente Qatar National Bank e Arab Banking Corp.

La sovracapacità dei porti
L'analisi di Bologna si sofferma anche sugli effetti del gigantismo, caratterizzato dai grossi investimenti fatti dagli armatori nella prima decade del 2000 per rendere le loro flotte meno numerose e più capienti. 
Ora però, ad avere più offerta di quanto non sia la domanda non sono soltanto i proprietari delle navi, soprattutto quelli specializzati nel container, ma anche i porti più forti che hanno logicamente seguito il gigantismo costruendo terminal più grandi. 
Bologna osserva che dei cinque grandi porti del Nord Europa - Le Havre, Rotterdam, Anversa, Bremerhaven e Amburgo - gli unici ad essere cresciuti nel volume container sono stati Amburgo e Le Havre, proprio quelli che, rispetto agli altri, non possono accogliere navi superiori ai 15mila teu, quindi di fatto sono tagliati fuori dalle rotte delle grandi navi di ultima generazione. Nei container, lo scalo tedesco è cresciuto del 4,4% nel 2013, quello francese dell'8%. Rotterdam segna -2%, Anversa -0,7%, Bremerhaven -4,7%. 
I risultati del porto tedesco sono dovuti a diversi fattori. Una buona parte della crescita viene dal traffico "locale", quello di trasbordo e quello con i porti della regione, cresciuto del 10%. In più, Amburgo ha mantenuto una consistente politica di sconti ed incentivi, rendendo le sue banchine appetibili soprattutto agli armatori "minori", quelli dalla decima posizione in classifica in poi, quelli che non fanno superalleanze e non trasportano, da soli, milioni di teu l'anno. Il basso profilo di Amburgo, risultato vincente, è evidente nel forte ridimensionamento avuto nelle previsioni di traffico: dai 25 milioni di teu all'orizzonte nel 2025 si è passati a un più modesto 15 milioni, quasi la metà.

Difficile fare paragoni
L'economia dello shipping non si può considerare un'economia a tutti gli effetti. Non la si può paragonare ad altri mercati crollati sotto il peso della speculazione, come quello immobiliare. La sua autonomia "liberale" è relativa, essendo legata a un asset vitale come quello del trasporto, fortemente soggetto ad aiuti finanziari statali (oggi molto meno di ieri). Non bisogna dimenticare, per esempio, che il periodo di grossi investimenti in nuove costruzioni godeva di finanziamenti bancari considerati, appunto, vitali per la loro natura trasportistica e infrastrutturale, godendo di una certa priorità rispetto ad altri prestiti, come quello immobiliare.
Quindi, come concludere: lo shipping sta per esplodere in una bolla finanziaria? Probabilmente sì, ma certamente gli effetti non si potranno osservare nel trasportato (legato a meccanismi della domanda che certo non decidono né possono prevedere i porti o gli armatori), piuttosto lo si potrà osservare nelle compagnie fallite e nei tentativi degli armatori di consorziarsi in alleanze sempre più grandi e organizzate.