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21 novembre 2024, Aggiornato alle 16,10
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Logistica

Il rilancio del Meridione passa per le ferrovie

Tra il 2009 e il 2019 il Pil del Mezzogiorno è calato del 4 per cento, quello nazionale è cresciuto del 2,4 per cento. Eppure l'export passa prevalentemente per il Sud. Il webinar organizzato dal Coordinamento Mezzogiorno di Confetra Campania

(Henry Burrows/Flickr)

di Paolo Bosso

Così com'è, la terza versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) regionalizza il Meridione d'Italia, limitandone i traffici commerciali, soprattutto marittimi, al Mediterraneo. «Ci sono la manifattura, la logistica e la portualità ma senza considerare l'assetto industriale che c'è dietro. È un errore di percezione, perché non è così che funziona quest'area», afferma Domenico de Crescenzo, responsabile del Coordinamento Mezzogiorno di Confetra Campania, nel corso di un webinar di confronto sulla questione promosso dall'associazione.

«Considerando che Germania e Stati Uniti sono due dei nostri principali partner commerciali, è evidente che c'è anche un problema di comunicazione da parte di noi imprenditori del Sud. Non siamo capaci di far comprendere fino in fondo che di fatto il Sud dell'Italia è internazionale», commenta Ermanno Giamberini, presidente di Confetra Campania.

La fotografia degli ultimi dieci anni di economia del Meridione d'Italia è molto dura. Come ha spiegato Ennio Cascetta, professore ordinario di Pianificazione dei sistemi di trasporto dell'Università Federico II di Napoli, a fronte di un'economia nazionale (considerando il prodotto interno lordo) cresciuta tra il 2009 e il 2019 del 2,4 per cento, il Mezzogiorno è calato del 4 per cento. Per confronto, l'Unione europea è cresciuta dell'11 per cento, la Gran Bretagna del 21 per cento, la Francia del 14 per cento. La buona notizia è che l'export del Sud rappresenta il 54 per cento del totale nazionale, dato analogo al turismo. Il che mostra come la vocazione intra-mediterranea delineata dal PNRR è semplicemente sbagliata. «Alla base – spiega Alessandro Panaro, capo del dipartimento Maritime & Energy del centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno – c'è la centralità del trasporto marittimo, il principale mezzo degli interscambi commerciali».

La geografia, come quasi sempre, è determinante. Mettendo a confronto Lombardia e Stretto di Sicilia, la differenza è notevole. In un'area di 400 chilometri con centro Milano, riferisce Cascetta, a fronte di una popolazione di 20 milioni di persone il valore produttivo è pari a 2,600 miliardi di euro. Dall'altro lato, in un'area analoga con centro Messina, la popolazione scende a quattro milioni di persone per un pugno di miliardi di produttività. «A pesare – continua Cascetta - è la lentezza dei trasporti. Per esempio, per costi e tempi di spostamento dell'autotrasporto, comparati a quelli del Nord, è come se lo Stretto di Messina fosse largo 150 chilometri».

Come uscirne? Sia Cascetta che Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria, ritengono che bisogna aumentare l'accessibilità ferroviaria, con costi tutto sommato contenuti, nell'ordine dei 60 milioni di euro complessivi. In altre parole, Ferrobonus.

L'attività di manutenzione ferroviaria, però, non aiuta. Lo iato tra Settentrione e Meridione è evidente. Mentre al Nord le aziende private compensano gli investimenti statali, al Sud ci si affida solo alla manutenzione Anas, parallelamente all'enorme crescita dei voli low cost dell'ultimo decennio (oggi praticamente azzerata) che ha permesso di fatto di mantenere il Meridione collegato al resto d'Italia. Se Rete Ferroviaria Italiana tra il 2009 e il 2019 ha visto crescere gli investimenti SAL (Stato Avanzamento Lavori) da 3 a 5 miliardi, per l'Anas sono scesi da 3 a 1 miliardo.

«Guardando al terzo documento del PNRR – spiega de Crescenzo – emerge come lo sviluppo portuale per il Sud guardi alla sola posizione geografica. È un errore di prospettiva perché non è la sola collocazione che conferisce un ruolo commerciale ma il sistema industriale alle spalle. È il limite con cui sono state fatte le Zone economiche speciali», in cui ad oggi non si è sviluppata una sola realtà imprenditoriale di rilievo. «Ma bisogna dare anche il tempo all'istituto di concretizzarsi. Basta guardare a quello che si è speso, prima dei primi risultati, in porti come quello di Tangeri», sottolinea Panaro.

Anche per Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria, una delle chiavi è il trasporto ferroviario. «C'è la Napoli-Bari, la Potenza-Messina, l'elettrificazione generale delle tratte, il Piano Stazioni al Sud di RFI, le reti in concessione da far entrare a regime, ma anche i collegamenti tra aeroporti, porti e interporti».

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