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18 aprile 2025, Aggiornato alle 18,44
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Politiche marittime

Il Reportage. Costa Concordia, recupero al 67%

La nave non galleggerà a settembre e ancora non si sa il porto di destinazione. Il che è prematuro visto che ancora deve essere tirata su. L'analisi dell'Osservatorio del Costa Concordia   di Paolo Bosso  


di Paolo Bosso 
 
Sei piattaforme sottomarine, undici blocchi di ancoraggio, trenta cassoni, centinaia di sacchi di malta per un'operazione in cui l'errore non è calcolato, le tolleranze sono minime e l'imprevedibilità esclusa. E' l'operazione di recupero del relitto della Costa Concordia, ormai da un anno e mezzo appoggiata tra gli scogli dell'isola del Giglio. Un'operazione unica nel suo genere, non tanto per la complessità (Titan e Micoperi, le due principali società incaricate, ne hanno viste di peggio tra petroliere affondate e portacontainer spezzate a metà), quanto per le condizioni e la topografia del luogo in cui operare: 115mila tonnellate di ferro incagliate nel Mediterraneo a pochi metri dalla terraferma, adagiate su un fondale di granito e sabbia. Poco più in là, uno strapiombo di ottanta metri. Il margine di errore è minimo, l'operazione richiede una precisione maniacale, che va dal diametro di perforazione per i pali delle piattaforme ai binari guida per i cassoni. Poi, quando la nave verrà pian piano appoggiata sulle piattaforme subacquee, prima che i cassoni la facciano galleggiare, le lamiere inizieranno a cedere sotto la pressione di leve e cavi di acciaio. In quel momento il tempo per i calcoli e le previsioni sarà finito, e resterà soltanto la speranza di non essersi lasciati sfuggire niente. «E' un'operazione che si distingue da tutte le altre per l'alto grado di sicurezza e precisione. Non ho mai visto un tale rigore, cinquecento persone lavorano senza sosta, ventiquattr'ore su ventiquattro». Stefano Tortora mostra con un misto di apprensione, stupore e ammirazione l'operazione di salvataggio del Costa Concordia. E' l'ispettore per il supporto Logistico e dei Fari della Marina Militare, ed è l'incaricato membro designato dalla Protezione Civile per l'Osservatorio di monitoraggio del recupero del relitto. Ieri l'ammiraglio ha tenuto un seminario a Napoli, organizzato dall'Atena, in cui ha illustrato tutto ciò che è stato fatto finora e cosa manca ancora.
Il progresso è al 67%, come si legge sul sito di Titan Salvage. Al momento la nave è ben ancorata, sono stati agganciati due dei trenta cassoni che serviranno per farla galleggiare, e una settimana fa è stata installata l'ultima delle sei piattaforme subacquee utili a far appoggiare la chiglia della nave. Il grosso è stato fatto. «Abbiamo avuto una gran fortuna – spiega Tortora – l'ancoraggio della nave è avvenuto a ottobre scorso, giusto in tempo per una grossa mareggiata che ha fatto sprofondare la nave di un metro e mezzo nel fondale. Non oso pensare cosa sarebbe successo se non avessimo terminato in tempo». Ora, a parte il montaggio dei cassoni (grandi la metà di un campo da calcio), c'è da terminare le "rifiniture", come il sistema dei contrappesi. La nave andrà a galla in questo modo. La spinta verrà quasi tutta dai cassoni e dai tiranti. Quando la struttura inizierà a ruotare per adagiarsi sullle piattaforme subacquee, i cassoni seguiranno il movimento mantenendosi costantemente sul livello del mare. A un'altra rotazione segue un altro abbassamento del cassone, e così via finché la nave non si ritroverà dritta con la chiglia adagiata sulle piattaforme. A quel punto i cassoni che facevano da contrappeso si svuotano per far galleggiare un bestione da 290 metri di lunghezza e 70 di altezza. «La spinta verrà tutta dai cassoni visto che non c'è alcuna chiusura stagna. Non si è neanche voluto tappare la falla perché avrebbe solo complicato le cose» spiega Tortora.
L'incognita risiede nel comportamento della struttura della nave. Il punto più debole, quello che sarà soggetto alle maggiori deformazioni, è immediatamente dopo il troncone di prua. Se ci sarà qualche imprevisto, è lì che i tecnici si aspettano di intervenire. La nave rilascerà più di 56mila metri cubi di acqua e inizierà a ruotare schiacciandosi sotto il suo stesso peso. Ogni fase è calcolata su base millimetrica, «nulla viene fatto che non rientra nei calcoli degli ingegneri». Dall'inizio della fase di galleggiamento fino al suo completamento ci vorranno due mesi tondi, «non di meno» ci tiene a precisare Tortora. Quando verrà tirata su, la nave rilascerà dall'interno diverse sostanze, «principalmente chimiche, ma in misura contenuta» afferma Tortora.
«Sulle dichiarazioni di Gabrielli (il capo della Protezione Civile che nei giorni scorsi è intervenuto sulle fasi finali del recupero ndr) c'è stata un po' di confusione. Io non credo abbia affermato che a settembre la Concordia galleggerà, ma che per quel periodo potrebbe iniziare l'ultima fase». Per settembre c'è quindi da aspettarsi l'inizio, non la fine, della fase di galleggiamento. «Vi preoccupate troppo del momento in cui la nave galleggerà, il momento in cui tutto sarà finito, ma la priorità, sia al momento del bando sia ora che siamo nel pieno dei lavori, è sempre stata la messa in sicurezza della nave, con un'attività di perforazione che aggredisse il meno possibile il delicato ecosistema». Sono due le specie di piante maggiormente "strapazzate": la Posidonia Oceanica e la Pinna Nobilis (o nacchera, cozza penna, stura). La prima è la cosiddetta "alga di mare" ed è una specie endemica del Mediterraneo. Un organismo delicato che tappezza il fondale su cui è steso il relitto. Soffre la mancanza di luce, e infatti la zona in cui la nave fa ombra ha visto una morìa inevitabile. Duecento pinne nobilis sono invece state trapiantate in un luogo più sicuro, e una buona parte di esse stanno reagendo bene. «Sostanzialmente l'acqua è pulita, più di quanto ci si aspettava» afferma Tortora, mostrando un filmato subacqueo girato da un robot dove si nota un'acqua limpida, con la vita che si sta già prendendo possesso degli interni della Costa Concordia. «C'è una percentuale di mercurio non indifferente, ma non è dovuta alla nave, piuttosto alle cave della Maremma, utilizzate fin dall'antichità per l'estrazione del metallo». Le analisi dell'Arpat confermano che il livello di inquinamento è minimo: il lavoro fatto fin qui per installare le strutture che tireranno su la nave è stato impeccabile. Le trivelle di perforazione per esempio, fondamentali per piantare i pali per le piattaforme e i tiranti, sono a sistema chiuso, ovvero il rilascio dei detriti di scavo è ridotto al minimo. «Anche se la gran quantità di granito degli scarti è materiale puro proveniente dalla roccia, per legge non può essere riutilizzato e verrà trattato come un rifiuto».
E quando sarà a galla, dove andrà la Costa Concordia, a Piombino? «Non lo so, e non lo voglio sapere» risponde lapidario Tortora, «da quel momento in poi l'ingegneria è secondaria, subentreranno altri fattori». Politici? «Sono contento di non partecipare a questa fase» conclude l'ammiraglio.