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22 novembre 2024, Aggiornato alle 15,09
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Cultura

Il mare in tre domande a... Osvaldo Cammarota

Un operatore di sviluppo territoriale (e pescatore) ci spiega come la lezione del mare può insegnarci a vivere e convivere meglio

Osvaldo Cammarota

di Marco Molino

D'improvviso l'orizzonte s'incendia e ti costringe ad abbassare lo sguardo. Ma poi riapri gli occhi e guardi un'altra volta. È proprio laggiù, nel tiepido arancione delle nuvole sottili, che scopri e ti racconti tutta la vita che c'è dall'altra parte. Ondeggi nella tua barchetta nell'attesa paziente di un sarago distratto, mentre un mondo invisibile ti satura l'animo. Prima o poi bisogna però tornare a terra a fare i conti con i soliti affanni. Ti porti nella pancia, questo sì, un briciolo di conoscenza in più che vorresti trasmettere agli altri. Il salmastro profumo delle azioni semplici, l'armonia con gli elementi che riportata a terra diventa un'idea rivoluzionaria dei rapporti tra gli uomini e le comunità.

Osvaldo Cammarota, c'è una lezione del mare che forse è eterna, eppure ogni giorno si rinnova. L'azzurro è una distesa di contemplazione e, nel contempo, una dimensione "del fare". Niente di speciale: solo quello che serve per vivere (bene). Ma in questa scuola della natura, aperta a tutti, pochi sembrano entrarci, almeno a giudicare dall'egoismo e dalla sterile conflittualità che caratterizza oggi i rapporti sociali a partire dalla famiglia fino alle piccole comunità, dalle alienate metropoli fino ai rapporti tra gli Stati. In questo contesto disgregato, può ancora far breccia quel che ha da dirci il mare?

«Il mare insegna il senso della misura. Sfida a superare i limiti, ma obbliga a considerarli ricordando la sua legge: se vuoi vivere con me, impara ad avere rispetto. Quale che sia la pulsione vitale di ciascuno, sia essa a superare situazioni insostenibili o a puntare traguardi più avanzati, il destino è navigare attraverso il famoso mare che c'è tra il dire e il fare. Il mare insegna a trattare le avversità e gli imprevisti; a far tesoro di ciò di cui si dispone; a combinare il tutto in fattori critici di successo. Nella navigazione a vela, ad esempio, persino la zavorra può favorire o nuocere: sopravento aiuta a raddrizzare la barca quando va di bolina, sottovento può causare la scuffia.
L'insegnamento più prezioso per questi tempi mi sembra il rispetto del "altro da sé". Viviamo un'epoca di ipertrofia del "io", alimentato da potenti strumenti tecnologici che accrescono l'illusione dei singoli di poter asservire il resto del mondo ai propri desideri. L'egoismo e la sterile conflittualità proliferano in queste suggestioni che ormai pervadono la vita sociale e corrodono le comunità. 
Il senso della misura mi sembra un importante "fattore di comunità". Il rispetto per la natura, della vita, dei saperi e delle competenze altrui, non può che accrescere la conoscenza soggettiva e, dunque, contribuire a migliorare la qualità della vita, propria e della comunità in cui si vive. 
Sì. Il mare può fare breccia, bisogna solo farlo conoscere nel profondo».

In molti centri costieri spesso si innalzano muri e palazzi che creano con gli anni una barriera (fisica e mentale) tra la convulsa vita degli abitanti e il loro patrimonio liquido. Quelle cortine di cemento ci fanno smarrire anche la consapevolezza di una straordinaria risorsa sociale, economica e culturale. Come si abbattono, anche metaforicamente, questi muri?

«Il mare lungo è quel moto ondoso che, solitamente, segue le forti mareggiate. Arriva a intervalli regolari, si gonfia, sale di livello, invade dolcemente tutti gli anfratti della costa, penetra nei posti più reconditi, rimuove ogni cosa che non sia validamente attaccata alla terra e poi si ritira, portando con sé tutto il superfluo.
Ecco. Ci vorrebbe un mare lungo, capace di penetrare gli anfratti di menti ingombrate dal superfluo. Con il dilagare del superfluo, l'umanità sta distruggendo il proprio patrimonio materiale (territorio) e immateriale (valori) e cioè se stessa. Pensiamoci. La devastazione delle coste, l'invasione della microplastica, le vittime di case cadute in zone sismiche, le violenze, …; sono negatività e disastri causati da comportamenti irragionevoli e poco rispettosi per il "resto del mondo". Tali comportamenti sono troppo assecondati da un potere pubblico gestito da menti ingombrate da superficialità. Servirebbero menti più calibrate sul mondo e sul tempo che viene.
La metafora del mare lungo mi sembra appropriata per evocare il modo per superare le idee, gli stili di vita, di produzione e consumo che dominano il nostro tempo. Serve un cambio culturale. Non arrivo a condividere le idee della decrescita felice; propendo per idee e azioni di sviluppo sostenibile e inclusivo, in sintonia con la cultura del mare e della navigazione. Essa stimola la creatività, unisce, rigenera, pulisce, produce benessere. Forse molti la possiedono, ma si stenta a "fare sistema", ossia a dare alle azioni quei caratteri di globalità che il maestro mare pure insegna».

Poniamo il caso, volendo essere ottimisti, che in un determinato territorio le amministrazioni locali e i vari enti comincino davvero a cooperare in un'ottica di sistema, magari facendo propria la saggezza degli uomini di mare. Può bastare una virtuosa gestione del territorio "dall'alto", o è necessario anche il coinvolgimento "dal basso" di cittadini, imprese e associazioni?
 
«La leva dello sviluppo è la conoscenza. Il territorio è un organismo complesso, fatto di valori materiali e immateriali. Dall'alto si vede meglio, ma si conoscono meno le peculiarità tipiche ed esclusive che ciascun territorio può attivare per il suo sviluppo.
A mio parere occorre rispettare i punti di vista di entrambe le posizioni. Ho avuto il privilegio di sperimentare l'utilità del raccordo tra "alto" e "basso". Dati e risultati misurabili testimoniano la fecondità di questo approccio, ma questi elementi stentano a innovare la Politica, lo Stato e la Pubblica Amministrazione. Perché? Ne ho ricercate le ragioni, è qui difficile sintetizzarle. Il mare mi ha aiutato dandomi le tracce della ricerca, provo a comunicarle con una metafora, spero se ne colga il senso.
Nel mare agitato tutto si mescola, l'alto, il basso, le prede e i predatori. L'acqua diventa torbida, è difficile distinguere i diversi elementi, ma il mare li comprende tutti; con la sua forza arrotonda gli spigoli, distrugge corpi estranei, scava dal fondo alimento per i pesci, … insomma si rigenera, senza smarrire la sua unitarietà.
Quando il mare si calma, gli oggetti superflui salgono a galla. Ciò rende possibile distinguere gli stronzi dalle arance e di dare a ciascun (s)oggetto il suo valore. L'acqua torbida, poi, si schiarisce e permette ai predati di tutelarsi dai predatori…
Ecco. Adesso siamo nel mare agitato. Bisogna confidare negli effetti del mare lungo».

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Osvaldo Cammarota è nato a Posillipo nel '55. In quel mare si è formato facendo i mestieri di pescatore, carpentiere, marinaio, poi consigliere comunale ('76-'93) e assessore a Napoli nella giunta Valenzi ('81-'83); presidente regionale della Lega delle Cooperative ('94-'96); assessore tecnico a Ercolano ('96-'99). Oggi esercita la libera professione di Operatore di coesione e sviluppo territoriale, coltivata e applicata nelle principali esperienze del Patto Territoriale del Miglio d'Oro (‘96-'99) e dell'Agenzia Locale di Sviluppo Città del fare ('99-2011). È coordinatore dell'Associazione Banca Risorse Immateriali. Applica, studia, ricerca, trasferisce competenze, su pratiche operative di sviluppo integrato territoriale mediante processi partecipativi. Conserva la passione per il mare: "Navigare, pur nella turbolenza, rende la vita più degna di essere vissuta"