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22 novembre 2024, Aggiornato alle 15,09
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Armatori

Demolizioni, gli armatori preferiscono il Bangladesh

Nel 2015 su 768 navi smantellate nel mondo, la maggior parte (469) sono state spiaggiate in Bangladesh, India e Pakistan, in condizioni di lavoro terribili


In barba ai regolamenti internazionali, ambientali e ai diritti umani, gli armatori continuano a preferire la pratica di demolizione più economica, pericolosa e inquinante, lo spiaggiamento. Secondo i nuovi dati diffusi dalla ong Shipbreaking Platformsu 768 grandi navi oceaniche demolite l'anno scorso, 469 – pari al 61 per cento - sono state "smontate" all'aria aperta sulle spiagge di India, Pakistan e Bangladesh.
 
Dieci anni di demolizioni in Asia 
Come rende noto l'associazione ambientalista Robin des Bois, negli ultimi dieci anni il 36 per cento delle navi sono state demolite in India, un quarto in Bangladesh, il 14 per cento in Cina e il 13 per cento in Pakistan. Messe tutte in fila formerebbero un convoglio lungo 1,400 chilometri di 64 milioni di tonnellate di stazza. L'anno dei record è stato il 2012 con 1,300 unità smantellate. 

Uno degli ultimi incidenti è accaduto in Bangladesh - il Paese con il più alto numero di demolizioni selvagge - nello stabilimento di Shitol Enterprise. Quattro operai sono rimasti uccisi e altri quattro gravemente feriti in seguito all'esplosione di una bombola di gas mentre riparavano un'unità della compagnia greca Universal Ship Management Corporation, venduta sotto la bandiera di comodo di St. Kittis and Nevis, utilizzata spesso in questi casi. Gli armatori greci sono risultati quelli che spediscono più navi di tutti nelle spiagge del sudest asiatico, tenendo conto però che si tratta di uno dei paesi con il più alto numero di navi mercantili e compagnie marittime.

L'utilizzo di bandiere di comodo è il sistema più semplice per "camuffare" la nave e rendere complicato rintracciare la catena di responsabilità. Il guaio è che l'obbligo di demolizione in impianti che rispettano determinati standard ambientali e lavorativi valgono solo per navi sotto bandiere comunitarie, ma non sono previste sanzioni per chi cambia bandiera poco prima di mandare la nave in demolizione. Secondo la ong un modo per combattere le demolizioni selvagge potrebbe essere quello di creare un fondo internazionale che premi chi demolisce in modo sano e applichi sanzioni a chi non lo fa. 

Esempi di bad company
La compagnia che ha spiaggiato più navi nel 2015 non è stata però greca ma israeliana. È la Quantum Pacific Group del magnate Idan Ofer, figlio dell'armatore Sammy Ofer, il quale ha una quota di controllo nella più grande società pubblica Israele, la Israel Corporation. Delle nove demolite quest'anno da Quantum Pacific, sei sono andate sulle spiagge del Bangladesh.
Con 87 navi in totale, sono gli armatori greci quelli che hanno demolito più navi in Asia meridionale. Dal 2009, da quando Shipbreaking Platform archivia dati, le compagnie di navigazione del paese sono sempre state le prime al mondo. 
Pur prendendo parte a diverse iniziative ambientali tra tecnologie emissive e riduzione degli sprechi di bordo, le sudcoreane Hyundai e Hanjin, la taiwanese Evergreen, le giapponesi Mol, K-Line e Toyofuji (di proprietà Toyota) continuano a demolire nel modo più economico: solo le compagnie della Corea del Sud hanno spedito per di più in Bangladesh 27 navi.
Un'altra compagnia che contraddice i suoi slogan ambientalisti è la tedesca Norddeutsche Vermogen che ha venduto tre navi nei cantieri "balneari" di India e Bangladesh.
Infine, Shipbreaking Platform segnala la polacca Polsteam, di proprietà statale, che ha venduto diverse navi in Bangladesh e Pakistan.

«Nonostante tutta l'attenzione internazionale sulla demolizione navale nelle spiagge dell'Asia meridionale, le statistiche del 2015 mostrano che la stragrande maggioranza degli armatori non ha cambiato abitudini. Al contrario ha preferito uno dei peggiori posti al mondo, il Bangladesh, dove vengono utilizzati anche i bambini per fare a pezzi le navi su bagnasciuga fangosi e putridi» ha detto Patrizia Heidegger, direttore di Shipbreaking Platform.

Gli armatori vendono le loro navi a cash-buyer, in genere società specializzate nel trattamento di fine vita di una nave garantendo prezzi bassi, alti profitti e basse responsabilità dirette. Si tratta di unità da migliaia di tonnellate cariche di fanghi contaminati con petrolio, amianto e metalli pesanti provenienti dalle vernici, elementi che richiedono spese ingenti per essere smaltiti.

La buona notizia è che recentemente Shipbreaking Platform ha aperto una lista di compagnie marittime con una trasparente politica delle demolizioni. Attualmente sono tredici, tra cui figurano Maersk, Hapag Lloyd e Wallenius. Entro la fine dell'anno l'Unione europea pubblicherà un elenco di impianti di riciclaggio approvati, andando incontro alle richieste di investitori quali Abn-Amro, a distributori come H&M, Stora Enso e Phillips che hanno esplicitamente dichiarato di non voler essere più associati agli spiaggiamenti.