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14 marzo 2025, Aggiornato alle 08,19
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Concessioni anarchiche e terminal mezzi vuoti. Lo scarso razionalismo dei porti italiani

Concessioni senza regolamento, dragaggi esasperanti, nature giuridiche ambigue. Fortunatamente i traffici tengono ma nel Def solo l'1,8 per cento è per i porti. I dati di Confcommercio


a cura di Paolo Bosso

Approvare il regolamento sulle concessioni, razionalizzare il parco opere ma soprattutto mettere d'accordo ministeri di Trasporti, Ambiente ed Economia quando si tratta di decidere su dragaggi e natura giuridica delle autorità portuali, perché la confusione regna. Con diverse proposte, raccolte in 13 punti, il Forum internazionale Conftrasporto-Confcommercio chiede al governo e ai legislatori una maggiore attenzione sulle politiche portuali.

Nel Def 2018 non ci sono i porti
«Da un'analisi del Documento di economia e finanza del 2018 solo l'1,8 per cento delle risorse viene destinati ai porti fino al 2032, pari a 2,35 miliardi di euro. L'Italia così rischia l'esclusione dalle grandi vie del traffico mondiale», riferisce Pasquale Russo, segretario generale di Conftrasporto, che ha detto che «negli ultimi vent'anni le merci in container movimentate nel Mediterraneo sono aumentate del 500 per cento mentre nei porti italiani l'incremento è stato del 50 per cento, agganciando solo il 10 per cento della crescita».

Concessioni
L'articolo 18 della legge 84/94 prevede l'emanazione di un regolamento nazionale che uniformi e soprattutto irreggimenti le relazioni tra imprese private concessorie ed enti concessori (l'Autorità di sistema portuale). Dopo quasi 25 anni, la legge è ancora senza regolamento, con la conseguenza che la qualità e la durata delle concessioni è anarchica, tra porto e porto.

Dragaggi
Sono 464 le navi tra i 10 mila e i 20 mila teu in giro per il mondo. Da qui al 2020 ne entreranno in servizio altre 118 di queste dimensioni (e altre più piccole verranno dismesse). Navi che hanno bisogno di alti fondali. Il fabbisogno complessivo di dragaggio dei porti italiani ammonta all'escavo di 85 milioni di metri cubi, di cui 30 milioni urgenti, ma se i ministeri non si coordinano e non procedono più spediti e razionali nelle autorizzazioni sono opere impossibili da gestire e destinate alla paralisi. A cominciare dal business dei Siti di interesse nazionale, ma oggi in realtà per le autorità di sistema portuale i grattacapi sono i decreti autorizzativi. L'ultimo caso viene dal porto di Salerno: il ministero dell'Ambiente ha autorizzato il dragaggio di 3 milioni di metri cubi in due trimestri quando, da analisi fatte dallo stesso dicastero insieme all'istituto Dohrn di Napoli, sarebbe decisamente più logico realizzarle in un unico periodo di sei mesi. Per questo, Confcommercio e Conftrasporto chiedono che, almeno sui dragaggi, ministeri di Ambiente e Trasporti lavorino insieme.

La natura giuridica delle autorità portuali
È una questione annosa. Le autorità portuali sono enti pubblici non economici (non fanno profitto, ragion per cui non possono pagare tasse, anche se la Commissione europea vorrebbe che lo facciano) ma i loro dipendenti sono contrattualizzati come privati. Questa doppia anima crea non pochi problemi. L'Ue chiede da tempo all'Italia di rendere le autorità di sistema più simili alle spa portuali anseatiche, modello che trova l'appoggio del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. L'elenco Istat delle amministrazioni pubbliche annovera le autorità portuali, cosa che comporta la partecipazione di questi enti agli adeguamenti di spesa come il blocco degli stipendi, che sono però sottoposti al regime d'impiego di diritto privato. E così ministero dell'Economia e Trasporti periodicamente 'litigano' con quest'ultimo che 'progegge' le autorità dai tagli allo stipendio. Su questo fronte, come ha detto recentemente il presidente dei porti campani, Pietro Spirito, il governo e lo Stato italiano devono decidersi, i porti o sono enti pubblici o privati. Con la Commissione europea che mette pressione, questa ambiguità giuridica sta diventando insostenibile.

Progetti, infrastrutture, che disordine
Secondo i calcoli di Confcommercio, su 60 progetti presenti in 17 porti, per un totale di 718 milioni di euro, la parte finanziata è solo il 41,7 per cento. Secondo Confcommercio, spingendo sui project financing si potrebbero recuperare fino a 15 miliardi. 
Ma alla base, prima ancora di finanziare, ancora e ancora, ci sarebbe bisogno di razionalizzare i terminal e soprattutto ammodernare i piani regolatori portuali. 13 terminal su 57 sono dedicati ai container e più della metà degli spazi complessivi sono vuoti: la capacità nazionale in movimentazione è di 16,7 milioni di teu a fronte di 10 milioni di traffico annuale, significa che il 67 per cento dei piazzali italiani dedicati alla movimentazione dei container sono inutilizzati. E questo non perché il traffico è calato - tra il 2005 e il 2017 il traffico portuale delle merci è rimasto stabile, crescendo del 2 per cento e oggi si attesta sul mezzo miliardo di tonnellate – ma perché c'è anarchia nell'approvazione dei progetti non esistendo una cabina di regia unica che li coordini.
Sul fronte dei piani regolatori la situazione è desolante. Solo 10 scali su 57 hanno un piano regolatore approvato di recente. Quelli in vigore hanno una vita media di 55 anni (quello del porto di Napoli quest'anno compie sessant'anni).

Le principali proposte di Confcommercio
• approvare il regolamento sulle concessioni portuali
• riformulare la natura giuridica delle autorità portuali senza ambiguità
• estendere il mandato del presidente del sistema portuale da 4 a 5 anni
• rivedere l'organismo di partenariato della risorsa mare (un organo consultivo formato dai privati dell'Autorità di sistema portuale)
• ripensare la Conferenza di coordinamento delle autorità di sistema portuale
• rinforzare la direzione porti del ministero dei Trasporti
• gruppo di lavoro permanente Trasporti-Ambiente sui dragaggi
• coordinamento tra Trasporti e Ambiente in materia di revisione dei conti