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18 aprile 2025, Aggiornato alle 08,49
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Politiche marittime

Come funziona il metodo MEG

Ideato dal comandante Giovanni Galatolo, permette di addestrare l'equipaggio a lavorare bene in condizioni di stress, come quando si naviga in zone a rischio attacco dei pirati 


di Paolo Bosso 
 
C'è un fatto. L'uso di personale armato a bordo anche se ha aumentato la sicurezza della navigazione nelle acque infestate dai pirati porta a deresponsabilizzare l'equipaggio nell'affrontare queste situazioni. Per comprendere il fenomeno basta pensare al caso degli incendi: perché una nave è perfettamente addestrata ad affrontarli, soprattutto non si fa prendere dal panico, mentre in caso di attacco di pirati è totalmente impreparata? Le due situazioni, per quanto diverse, hanno in comune il fatto di mettere a repentaglio la vita dell'equipaggio, e nel caso dell'incendio il rischio di rimetterci le penne è ancora più alto. Insomma, il fenomeno della pirateria non è stato affatto preso di petto da gente di mare che spesso affronta condizioni estreme non meno pericolose di un attacco dei pirati. 
Deve essere stato questo il pensiero di Giovanni Galatolo, già comandante della Centrale operativa nazionale della Guardia Costiera, quando ha ideato il sistema didattico che porta il suo nome: il MEG, Metodo Antipirateria Galatolo, presentato a Roma nei giorni scorsi. Promette bene, tanto da aver ricevuto l'appoggio dell'Istituto italiano di navigazione, di Osdife (Osservatorio sicurezza e difesa), del sindacato Itf e dell'Esa Cluster. Esso non consiste in un addestramento militare ma al contrario in una formazione che incrocia nozioni giuridiche, ingegneristiche ed elementi di difesa personale utili per permettere all'equipaggio di affrontare con relativa tranquillità i momenti in cui la nave transita in zone "calde". Un addestramento psicologico, anche se il termine è generico e spesso viene utilizzato per definire ciò che non è chiaro. In questo caso invece il MAG è molto preciso. E' diviso in due corsi, l'Alfa destinato all'equipaggio e il Bravo per gli alti ufficiali.
Il primo dura 16 ore e consiste in un indottrinamento di base alle norme internazionali sulla sicurezza come il Best Management Practice (le misure antipirateria della marina britannica), alla conoscenza dei metodi costruttivi della cittadella (una specie di cabina di pilotaggio rinforzata dove rifugiarsi in casi estremi), lo studio delle principali norme sulla sicurezza marittima internazionale, dell'attività dei Nuclei Militari di Protezione italiani e dei contractor. Infine lo studio dell'antipiracy advisor, uno degli elementi chiave del metodo Galatolo, un consulente che fa da supporto al comandante a all'equipaggio vigilando sul corretto comportamento a bordo nelle zone a rischio attacco. Può essere richiesto in aggiunta ai due corsi sotto il nome di "opzione Charlie".
L'altro corso è il "Bravo", della durata di 15 ore. Si avvicina di più a una tecnica di autodifesa con esercitazioni antipirateria, pianificazione dell'emergenza, cenni sulle armi non letali e sul combattimento corpo a corpo, monitoraggio del traffico marittimo e conoscenza del concetto di briefing e debriefing.
Ed ecco il fattore psicologico in concreto: con questi due corsi e grazie al supporto del consulente antipirateria è possibile preparare l'equipaggio e il comandante in modo efficace, creando le condizioni ottimali per controllare lo stress e l'ansia quando si lavora navigando al largo del Puntland, a poche miglia dalle coste della Nigeria o di fronte la Somalia. «Gli equipaggi - spiega Riccardo Degl'Innocenti, direttore dell'agenzia per il lavoro Esa Cluster - vivono il fenomeno della pirateria in maniera passiva, come potenziali vittime. Quando avviene un attacco non sono addestrati su come comportarsi», cosa che al contrario non è avvenuta sul lato militare dove «si è invece investito sulle strutture difensive delle navi, sui pattugliamenti da parte di Marine militari di molti paesi e sul personale armato a bordo».