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22 novembre 2024, Aggiornato alle 15,09
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Bacini porto di Napoli, l'Ue: "È aiuto di Stato"

Per la Commissione europea, tra il 2001 e il 2014 l'autorità portuale ha usato impropriamente 44 milioni. Lo scalo «diligente» nel trattare coi concessionari morosi

Veduta aerea di alcuni bacini di carenaggio del porto di Napoli

di Paolo Bosso

Il porto di Napoli da un lato è virtuoso, cercando in tutti i modi di riscuotere i canoni di concessione dei morosi, dall'altro però viola le regole sugli aiuti di Stato, fornendo indebiti vantaggi ai privati. Lo ha stabilito la Commissione europea, concludendo un'indagine iniziata a giugno 2016. Sono due le questioni su cui si è espressa: i finanziamenti per la ristrutturazione dei bacini di carenaggio, dichiarati illeciti per come sono stati utilizzati, e presunti favori ai concessionari morosi ritardandone i canoni di concessione, violazione non riscontrata.

Gli aiuti a Camed per 44 milioni
Tra il 2001 e il 2014 l'allora Autorità portuale di Napoli (oggi Autorità di sistema portuale del Tirreno centrale) ha ottenuto finanziamenti per circa 44 milioni di euro, destinati (ma non tutti ancora spesi) ai bacini di carenaggio 1, 2 e 3, in concessione a Cantieri del Mediterraneo (Camed), e all'ormeggio 33/B Cesario Console. Sono stati utilizzati per ammodernare, adeguare, risanare e consolidare queste strutture. Fin qui nessuna violazione. «Gli interventi pubblici nelle imprese sono esenti da aiuti di Stato ai sensi delle norme Ue quando sono effettuati a condizioni che un investitore privato operante a condizioni di mercato avrebbe accettato». Il problema emerge nel momento in cui Camed ha beneficiato indirettamente di questi finanziamenti - non li ha ricevuti lei ma l'ente pubblico autorità portuale - su opere di cui ne ha ottenuto la gestione per trent'anni senza gara, violando quindi condizioni di mercato eque. C'è poi un'altra violazione, quella degli aiuti di Stato veri e propri da parte dell'autorità portuale, nel momento in cui l'ente pubblico autorità portuale «ha beneficiato di sovvenzioni statali, ovvero un sostegno finanziario non rimborsabile senza costi di finanziamento. Sul mercato tale strumento non sarebbe disponibile per l'autorità portuale di Napoli», spiega la Commissione europea. Da un lato, quindi, Camed ha utilizzato infrastrutture a un prezzo inferiore ai tassi di mercato, senza partecipare a una gara d'appalto, dall'altro l'allora Autorità portuale ha riscosso i canoni di quelle concessioni «sulla base di parametri fissi che non riflettevano l'aumento del valore economico delle strutture affittate ristrutturate».

Pietro Spirito, presidente dell'Autorità di sistema portuale del Tirreno centrale, preferisce non commentare ancora la notizia limitandosi a dire che la notifica della Commissione rappresenta «un disallineamento tra comunicazione e sostanza visto che il dispositivo della decisione sarà reso pubblico solo nei prossimi giorni». 

La posizione di Camed
«La questione è chiara dal punto di vista giuridico», commenta Luigi Salvatori, presidente di Camed, «semplicemente non entriamo nel procedimento, Cantieri del Mediterraneo non è stata beneficiaria nemmeno di 50 centesimi. Sono coinvolte Autorità portuale e Commissione europea. Tra l'altro, dei tre bacini, i numeri 1 e 2 sono bloccati da anni e non possiamo riqualificarli proprio perché non sono bacini privati. Paghiamo una concessione trentennale per bacini che non possiamo usare».  

Andando ad analizzare nel dettaglio le risorse spese, si tratta di soldi ottenuti dall'ente pubblico-economico tra il 2001 e il 2014 per rinnovare i bacini di carenaggio in concessione a Cantieri del Mediterraneo:
• 12,8 milioni nel 2001 e 2002 per l'ammodernamento del bacino numero 3
20,4 milioni (di cui 5,4 milioni non ancora concessi) tra il 2001 e il 2004 per il risanamento del bacino 2, più un adeguamento per il bacino 1
• 10,8 milioni nel 2014 per il consolidamento dell'ormeggio Cesario Console (33/b)
Totale, poco più di 44 milioni, a cui si aggiungono 7,7 milioni di contributi da parte dell'Autorità portuale campana. 

Canoni di concessione ritardati
Il secondo caso esaminato dalla Commissione Ue riguarda diverse denunce che accusano l'Autorità portuale di favorire sette concessionari (riparatori, terminalisti e società di trasporto) ritardando la riscossione dei canoni. È emerso che in realtà l'authority su questo è stata virtuosa, adottando diverse misure per riscuotere le tasse, «come farebbe un qualsiasi operatore di mercato»: interessi per i ritardi di pagamento, rateizzazioni concordate e risoluzione dei contratti. Di questi sette concessionari, quattro hanno estinto i loro debiti e tre «hanno rispettato la riprogrammazione del debito». L'Autorità portuale di Napoli ha quindi agito come «un creditore diligente, cercando di massimizzare le prospettive di riscossione, quindi le presunte misure non comportano aiuto di Stato».

I porti italiani sono pubblici o privati?
Queste sentenze della Commissione Ue riflettono lo storico conflitto di sovranità tra Unione europea e Stati membri: in questo caso, secondo Bruxelles i porti italiani vanno trattati alla stregua di enti pubblico-economici, quindi devono pagare le tasse e non aiutare indirettamente i concessionari, ma in Italia la legislazione stabilisce che sono enti pubblici-non economici, creando una terra di mezzo. «Sembrerebbe che Bruxelles - riflette Salvatori - consideri l'autorità portuale di Napoli come un soggetto privato, e non pubblico: se così fosse, i finanziamenti statali a suo favore potrebbero effettivamente configurarsi come aiuto di Stato. E potrebbero configurarsi come aiuti di Stato, quindi, tutti i miliardi di euro di trasferimenti effettuati negli anni dallo Stato italiano a tutte le Autorità portuali del Paese». È una dialettica delle sovranità: legge europea da un lato e legge statale dall'altro. Intanto, secondo Salvatori, ciò che si ottiene per il momento è l'impossibilità «per lo Stato italiano di intervenire adeguando e ristrutturando beni di proprietà demaniale, al fine dell'adeguamento alle esigenze di traffico per gli ambiti portuali, anche attraverso organismi di emanazione statale, quali le autorità portuali, che non sono in alcun modo assimilabili ad imprese che operano sul mercato. La svista - conclude Salvatori - è di tale portata che sembra incredibile, e forse più strumentale ad interessi diversi da quelli di cui dovrebbe occuparsi la Commissione».