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13 marzo 2025, Aggiornato alle 17,51
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Infrastrutture

Autonomia finanziaria, quali regole per l'Italia?

Il ridotto potere decisionale dei nostri porti rappresenta un'eccezione rispetto agli altri paesi europei. Ma una politica di tagli alle tasse è sufficiente? Tutto sta nell'adeguarsi al modello europeo? Il ruolo dei privati e delle banche - Paolo Bosso  


Che fine ha fatto l'autonomia finanziaria dei porti? Se lo chiedono in tanti in Italia. La misura, insieme allo sviluppo del Piano Nazionale della Logistica, permetterebbe ai porti della nostra penisola almeno di fronteggiare la forte concorrenza nordafricana. L'Europa, come ha affermato di recente segretario generale Espo Patrick Verhoeven, vede le nostre autorità portuali come un eccezione, visto che hanno un potere decisionale di molto inferiore alle altre nazioni. Brema Bremerhaven, per esempio, ha optato per una riduzione del 10% dei diritti portuali con sconto del 14% della tassa portuale sulle merci e del 7% sulla tassa di ancoraggio e per il blocco delle tariffe praticate dalle proprie banchine. Misure simili le ha fatte anche Barcellona: riduzione dei canoni demaniali, della tassa portuale sulle merci sbarcate e imbarcate, della tassa di ancoraggio e della tassa erariale sulle merci. Da noi è più complicato attuare tutti questi tagli con i nostri porti che devono rispondere direttamente alle autorità regionali e nazionali. «Non avere la certezza finanziaria per effettuare i necessari investimenti sulle grandi infrastrutture, è un freno allo sviluppo» ha detto di recente il presidente dell'Autorità Portuale di Napoli, che però ha precisato come nel nostro  paese i privati giochino un ruolo importante. Secondo Dassatti l'autonomia finanziaria non può venire solo dalle tasse, «un ruolo importante lo giocano anche i privati in un porto in cui il pubblico dà la concessione consentendo al privato di investire». Della stessa opinione il presidente dell'Authority di Genova Luigi Merlo che ritiene il connubio privato-banche la caratteristica principale del metodo di investimenti in Italia. «A Tangeri hanno investito 7,5 miliardi per il nuovo porto - ha detto Merlo - da noi sarebbe impensabile perché da qui non si ragiona studiando progetti strategici ma si procede parcellizzando gli investimenti con il metodo del padrinaggio. Alla fine toccherà all'Europa indicarci quali sono i sistemi strategici». Secondo Merlo bisogna coinvolgere maggiormente banche e privati per essere competitivi, «ma per quanto riguarda le dighe primarie e le infrastrutture ferroviarie serve l'intervento pubblico».
L'Africa morde e presto sarà in grado di fagocitare il transhipment che passa per il Mediterraneo. «In un mondo ormai globalizzato dove viene favorita una concentrazione verticale del potere economico nelle mani di poche mega carrier, le autorità portuali devono poter contare di più sullo scenario internazionale» disse tempo fa Giuliano Gallanti dopo la nomina a nuovo commissario dell'Autorità Portuale di Livorno. Il problema, quindi, è se adeguare l'autonomia finanziaria agli schemi già fissati dall'Unione Europea o adattarlo alle esigenze dell'Italia. 
Paolo Bosso