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26 dicembre 2024, Aggiornato alle 12,57
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Politiche marittime

Assemblea Federagenti, Rixi: "La centralità dell'Italia nel Mediterraneo dipende da noi"

All'assemblea Federagenti, tenutasi a Roma, si è parlato di economia, immigrazione e nuovi equilibri negli interscambi commerciali


«L'Italia deve muoversi rapidamente come facilitatore degli investitori privati, rovesciando il paradigma in base al quale l'Italia non è affidabile. Opere come il Ponte sullo Stretto sono in questo senso un'arma potente da spendere sul mercato internazionale rendendoci credibili ad esempio sul mercato nord africano. Non possiamo aspettarci dall'Unione europea la trasformazione dell'Italia come Paese centrale negli intescambi commerciali, siamo noi che dobbiamo sforzarci di realizzarlo». Lo ha detto il viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi, all''assemblea pubblica della Federagenti, la federazione delle associazioni degli agenti raccomandatari marittimi italiani, svoltasi questa mattina a Roma sotto la presidenza di Alessandro Santi.

Un evento in cui si è parlato di economia, di immigrazione e di un approccio alle problematiche dell'interscambio mondiale via mare che, tramite l'analisi del nuovo Centro di analisi e consulenza strategica Giuseppe Bono, rende per la prima volta credibile e concreto uno spostamento verso il Mediterraneo dell'asse di gravitazione dei traffici europei, schiudendo all'Italia e alla sua portualità orizzonti che tuttavia sono tutti da conquistare.

Non è tanto la flessione di traffico che registrano i porti del Nord Europa, quanto l'attivismo industriale, logistico e commerciale dei Paesi dell'area MENA (Medio Oriente e specialmente Nord Africa) a contrassegnare un momento di trasformazione probabilmente epocale, innescato dal Covid, dal tracollo della globalizzazione e sfociato in un fenomeno di reshoring di attività industriali che Paesi come il Marocco o l'Egitto stanno sfruttando con una velocità di reazione che non ha precedenti. Occasione storica quindi per i porti italiani che devono comunque conquistarsi il futuro combattendo due fattori avversi: da un lato, una Unione europea che persevera nella sua impostazione nord centrica, dall'altro la lentezza e farraginosità di un sistema burocratico e decisionale che non si concilia con lo sviluppo in atto nella sponda Sud. Non è un caso che la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, abbia rimarcato con un suo messaggio al presidente Santi l'importanza di questo momento per un'Italia che si candida al ruolo di hub mediterraneo non solo dell'energia, ma anche dei traffici e dei rapporti commerciali e industriali. 

«Cambiamo l'attenzione del mondo nei nostri confronti, mostrando come abbiamo fatto nel caso del ponte Morandi ciò che sappiamo fare, ovvero andare per mare, realizzare infrastrutture di eccellenza e affrontare eccezionalità ed emergenze come nessun altro in Europa è in grado di eseguire». Questo il messaggio lanciato dal viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi. A proposito delle opportunità di collaborazione con i Paesi del Nord Africa, che vedono in Italia un partner privilegiato, Rixi ha sostenuto la necessità di scelte rapide e immediate che non possono prescindere da alcune considerazioni di fondo. La prima, relativa a un'Europa che comunque non è propensa a investire sul Mediterraneo; la seconda relativa a un'Africa che già oggi è preda di una colonizzazione intensiva da parte cinese che tende a escludere l'Europa.

Lo studio presentato oggi da Massimo Ponzellini, presidente e amministratore del Centro Giuseppe Bono, non evidenzia in effetti solo le potenzialità che deriveranno a breve dai processi di ricostruzione di interi Paesi come Libano, Libia, Siria o Iraq, ma anche e specialmente la rapidità con cui in Nord Africa si sta investendo sulle nuove infrastrutture, destinate a radicare attività industriali in zone franche efficienti, traffici e produzione di energia verde (in particolare idrogeno). Gli esempi del Marocco, dell'Egitto e della Turchia sono emblematici. In Marocco la logistica sta diventando la chiave di penetrazione e sviluppo di nuovi mercati compreso quello dell'Africa subsahariana considerato non più come terra di nessuno ma come un potenziale mercato di consumo. Il progetto di punta dell'impegno del Marocco è il porto Tanger Med sulla costa mediterranea del Paese, a circa 40 km a est di Tangeri diventato il porto più grande del Mediterraneo, superando i porti spagnoli di Algeciras e Valencia in termini di capacità di container 9 milioni di unità di venti piedi equivalenti (TEU). Ma significativa anche la costruzione da parte del Marocco della linea ferroviaria ad alta velocità Al-Boraq, la prima in Africa a collegare la costa mediterranea con l'Africa subsahariana (Mauritania) e destinata a diventare la spina dorsale di trasporto di una nuova catena di valore. E una porzione importante della produzione automotive si è già spostata proprio in Marocco. 

Per parte sua l'Egitto che ha già polarizzato tessile e manifattura, sta realizzando forse la più importante zona franca del mondo (450 km²) sulle due sponde del Canale di Suez, sta progettando e realizzando 6 tunnel sotto Suez, nuovi terminal e un fast train che connette il Mediterraneo al Mar Rosso. La Turchia, nonostante una situazione economica fragile, sta attirando un numero crescente di imprese che parevano intenzionate a disinvestire in Far East e investire in un est europeo, diventato con la guerra in Ucraina, a rischio. 

Numeri e progetti che secondo il presidente Santi «sono il vero riferimento sul quale costruire una politica marittima del Mediterraneo». E dal ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, è arrivata una dichiarazione di intenti: «L'Italia conta nel mondo se conta nel Mediterraneo». Criticando un'Europa che continua a guardare ai ghiacci del nord non rendendosi conto che il futuro è Mediterraneo, Musumeci ha sollecitato «una visione strategica nuova di Bruxelles, ma anche un rilancio del Mezzogiorno come chiave di lettura (pubblica e privata) per un futuro che comunque avanza». Massimo Ponzellini, presidente del Centro Giuseppe Bono, lo ha ribadito sottolineando come il destino del Mediterraneo dipenda in gran parte dalla capacità dell'Italia di generare dialogo e sfruttare le potenzialità senza riporre troppe speranze nel sostegno, che non è mai stato e mai sarà, convinto dell'Europa.