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14 marzo 2025, Aggiornato alle 18,16
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Aponte, "Il futuro della portualità italiana? Negli interporti"

Alla Lectio Magistralis tenuta da Cascetta all'Università Federico II di Napoli l'opinione di Gianluigi Aponte sulla politica portuale italiana. "Manca un governo centrale. Troppo potere alle regioni". E anche troppi porti di Paolo Bosso  


La merce che più viene trasportata è l'aria. La battuta da qualche anno gira nel mondo armatoriale. Oggi le portacontainer viaggiano spesso vuote, non solo a causa del viaggio di ritorno dalla spedizione ma anche per la mancanza di merce da trasportare, mancanza dovuta alla combinazione di due fattori, o forse di uno: la crisi economica e la sovracapacità della flotta di portacontenitori. Oggi questo "vuoto" vale il 20% del trasportato. Dove sta andando il trasporto containerizzato tra crisi, sovracapacità, noli schizzofrenici e paesi in via di sviluppo? 
A queste domande hanno cercato di rispondere professori universitari e armatori alla Lectio Magistralis tenuta da Ennio Cascetta, ordinario di Pianificazione dei Trasporti dell'Università Federico II di Napoli. Una lezione che ha visto, oltre al lungo intervento dell'ex assessore ai Trasporti della Regione Campania, anche quello del responsabile logistica Msc, Giuseppe Prudente, ma soprattutto del patron Msc Gianluigi Aponte.
Il ridimensionamento della supply chain è dovuta a diversi fattori: la crisi economica, la pesante fluttuazione del petrolio, che induce le compagnie marittime a viaggiare con qualche nodo in meno per risparmiare, allungando però i tempi di viaggio; infine l'aumento esponenziale degli attacchi dei pirati che sta rendendo zone, come il sud del canale di Suez, delle vere e proprie aree off limits. In questo contesto quel 20% di container vuoti in giro per il mondo riflette lo squilibrio tra mercati di produzione e mercati di consumo. In pratica la Cina da un lato e il resto del mondo dall'altro. Se a questo aggiungiamo che le prime dieci compagnie marittime controllano il 62% del mercato è chiaro come il trasporto containerizzato soffra oggi di squilibri latenti e profondi.
E in Italia? Come si riflette questo panorama mondiale nella logistica nostrana? Difficile dare una risposta perché il nostro paese soffre di problemi strutturali, spesso causa di estromissione dai grandi network internazionali. In primis, la debolezza dei collegamenti ferroviari, la difficoltà di espandere i terminal (sia in larghezza negli spazi che in profondità nel pescaggio) e infine la concorrenza spietata e autolesionista fra i porti. Tutti problemi riconducibili a pochi fattori, forse due: la conformazione geografica del nostro paese (pieno di montagne, spesso a ridosso delle coste dove crescono gli scali) e la mancanza di un "governo centrale dei porti" che stabilisca le priorità degli investimenti, a cominciare dal numero delle autorità portuali.
Secondo Aponte in Italia il futuro risiede negli interporti, esempio di best practice europea con cinque centri italiani tra i primi undici del Vecchio Continente. «Dovrebbero sorgere almeno a 50 km dai porti, in modo da diventare grandi centri di distribuzione per più scali» è l'opinione del fondatore di Msc. La ricetta di Aponte per un'Italia marittima competitiva è semplice, quasi ovvia: «Il paese è scoordinato. Le regioni hanno troppo potere quando invece c'è bisogno di un governo centrale che prenda decisioni importanti». E alla domanda su quanti porti bisogna puntare, la risposta non lascia spazio a interpretazioni: «Cinque, massimo sei». Non di più.
 
Paolo Bosso