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22 novembre 2024, Aggiornato alle 15,09
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Ambiente, lo shipping tra penuria di chip e un inatteso alleato: il nucleare

Resoconto da Valencia della XXIV Euromed Convention di Grimaldi. Il crollo del 2020, la ripresa, le contraddizioni della decarbonizzazione e le possibili soluzioni

Emanuele Grimaldi, CEO di Grimaldi Group, alla XXIV Euromed Convention di Valencia

di Paolo Bosso

«Oggi parliamo di decarbonizzazione». Il claim della XXIV edizione dell'Euromed Convention - From Land to Sea potrebbe sintetizzarsi nella frase di apertura di Emanuele Grimaldi, amministratore delegato del gruppo napoletano Grimaldi, che ogni anno organizza in una città diversa del Mediterraneo una conferenza internazionale dedicata alle autostrade del mare. Quest'anno l'evento si è tenuto a Valencia, l'8 e il 9 ottobre. Per Grimaldi, due giorni di incontri con i giornalisti e i clienti, con la partecipazione di circa 500 persone. Per il pubblico, il punto della situazione dell'armamento mondiale attraverso la lente della prima compagnia rotabili del mondo, che nei prossimi quattro anni dovrebbe ricevere ben venti navi di nuova generazione, all'interno di un piano di investimento che supera i due miliardi di euro.

Al centro dei panel della giornata principale, quella di venerdì, l'obiettivo zero emissioni entro il 2050 da parte dello shipping, che i legislatori e gli organismi internazionali - in primis ONU, International Maritime Organization (IMO) e International Chamber of Shipping (ICS) - si sono impegnati a raggiungere. Una trasformazione radicale in un contesto economico mondiale appena ripresosi dal lockdown, con le materie prime che scarseggiano (tra cui i semiconduttori) e una logistica che fa fatica a seguire la domanda. «Le prime misure concrete potrebbero essere approvate a novembre, per entrare in vigore nel 2023», spiega Hiroyuki Yamada, direttore Marine Enviroment dell'IMO. «L'obiettivo - continua - è dimezzare le emissioni entro il 2030. Tra il 2022 al 2023 avremo le prime analisi sull'impatto di queste misure. A novembre avremo un dibattito sui fondi. Infine, la riunione della COP26 a novembre, che a sua volta avrà un impatto sulle nostre strategie». I fondi sarebbero i 5 miliardi richiesti dagli armatori a più riprese, con lo scopo di dare un'accelerata allo sviluppo delle tecnologie che abbattono le emissioni. Il problema è come finanziarlo. C'è chi parla di tasse, chi di contributi. Per l'armatore Grimaldi la cosa certa è che deve essere una specie di imposta unica, uguale per tutti, in tutti gli Stati, altrimenti non ha senso e creerebbe conflitti. Quindi se ne dovrà occupare il legislatore internazionale, l'IMO in questo caso. «Le istituzioni europee e gli organismi regolatori internazionali sono lenti a decidere, e questo è comprensibile. L'Unione europea segue una logica elettorale, e anche questo è normale. Ma vorremmo che non si finisca solo per parlare e discutere», afferma Esben Poulsson, presidente esecutivo di ICS, parafrasando, volutamente o meno, il blablabla di Greta Thunberg.

Intanto, il gruppo Grimaldi l'anno scorso ha incassato circa 500 milioni di euro in meno rispetto al 2019, con una contrazione del credito che si è fatta sentire. «L'estate 2021 - spiega Grimaldi - è stata positiva, con circa un milione di passeggeri in più sul 2020, ma circa 300 mila in meno rispetto al 2019».

Tecnologie ambientali che nello shipping sono i carburanti alternativi (idrogeno e ammoniaca), i filtri anti-particolato, le vernici siliconate per ridurre l'attrito, l'elettrificazione delle banchine per spegnere i motori quando la nave è in sosta. Grimaldi, da parte sua, sta già girando con navi che, su banchine elettrificate o meno, possono già spegnere i motori e utilizzare mega batterie di bordo. «Le nostre nuove navi - spiega Grimaldi - dimezzano rispetto alle precedenti le emissioni per tonnellata trasportata. Negli ultimi due anni ne ha ricevute 12 di questo tipo, nei prossimi quattro anni altre 20, per un investimento complessivo di oltre 2 miliardi di euro. La spesa per la nostra flotta è enorme». La compagnia con base a Napoli ha speso circa 600 milioni negli ultimi anni per 220 interventi di retrofit "green", tra cui scrubber (filtri antiparticolato) su 72 navi e vernici siliconiche anti-attrito su 23 unità. 

Come far fronte a obiettivi così ambiziosi, a spese così importanti, in un contesto economico mondiale sempre più precario e affollato? I soggetti di riferimento restano le imprese, le leggi internazionali e l'imprescindibile necessità di abbattere i gas serra. «Ci siamo noi, i legislatori e il riscaldamento globale», afferma Ugo Salerno, amministratore delegato dello storico registro di classificazione Rina, oggi anche una grande società di ingegneria navale ed edile. «Nel 2050 arriveremo a usufruire fino all'8 per cento meno di energia rispetto ad oggi, con 2 miliardi di persone in più e un Pil mondiale raddoppiato. In questo contesto, la parola chiave è l'efficienza, bisogna tagliare drasticamente le emissioni». Cioè, dobbiamo utilizzare molta meno energia per far funzionare le navi, i porti e la logistica.

L'utilizzo di carburanti puliti non significa automaticamente taglio delle emissioni. «Pensiamo - spiega Grimaldi - a un futuro in cui una nave elettrica sarà capace di coprire rotte di cabotaggio. Se la sua energia viene da fonti non rinnovabili non risolviamo nulla. Lo stesso discorso vale per l'idrogeno e l'ammoniaca. L'ammoniaca ha zero emissioni, ok, ma il sistema di produzione dell'ammoniaca è molto più inquinante del bunker tradizionale. Le nostre ultime ro-ro, di quinta generazione, emettono un sesto dei gas serra della media e rispondono alla logica dell'efficienza. La decarbonizzazione è una medaglia con due facce, c'è l'efficienza energetica, o l'abbattimento delle emissioni, e dall'altro lato il costo di un assetto del genere». 

La produzione di una tonnellata di idrogeno, afferma Salerno, emette fino a dieci tonnellate di anidride carbonica. «Così non cambia niente - spiega - anzi, complichiamo le cose. L'idrogeno al momeno non è un combustibile ma un modo per trasportare l'energia. Per ottenere un megawatt di energia solare ci vogliono fino a 8 mila metri quadri di celle. Una nave a energia solare quindi, con questa tecnologia, non è possibile».

Curiosamente, un carburante che può rispondere a tutte queste esigenze potrebbe essere l'energia nucleare. «Senza energia nucleare non possiamo raggiungere gli obiettivi preposti. Il rischio per la salute nell'utilizzare questa fonte energrtica è imparagonabile ai morti che ogni anno sono causati dall'emissioni di gas serra. Ma non è solo questo. Siamo alla quarta generazione di questa produzione energetica, molto diversa da quella degli inizi, in cui si sono riversate tante battaglie ambientali in passato. Si utilizza un tipo di uranio del tutto diverso. Una nave a propulsione nucleare, di fatto, è impossibile che esploda. Per il raffreddamento si utilizza il piombo liquido, il quale, quando si verifica un incidente, si solidifica molto velocemente, raffredda il nucleo immediatamente e crea un sarcofago. Una tecnologia possibile per le navi, non immediatamente applicabile ma da qua in dieci anni forse sì. Da un quarto di secolo metà delle rompighiaccio in circolazione vanno a energia nucleare e non hanno mai avuto incidenti».